Doris Zaccone: vi racconto Capital in the World

Capital in the world è ormai uno dei programmi di punta della programmazione di Radio Capital. Ogni giorno argomenti diversi, tradizioni curiose e avvenimenti particolari da tutto il mondo fanno di questa trasmissione un modo per viaggiare anche solo con la fantasia. E le storie dei nostri connazionali sparsi per il mondo arrivano nelle case con quella magia che appartiene solo alla radio, amplificata dalla musica che fa da sottofondo. Storia movimentata quella di questo programma che, cominciato come semplice rubrica, grazie alle richieste pressanti degli ascoltatori e alla straordinaria caparbietà di Doris Zaccone lo hanno portato prima nel week end, poi alla collocazione attuale, passando dalle dirette on the road, cioè realizzate da diverse zone del mondo. Di questa bella avventura radiofonica parliamo proprio con Doris che, oltre ad esserne la conduttrice, è anche la persona che ha ideato il format e contribuito alla sua nascita. 

Come nasce l’idea di Capital in the world?

Dall’amore per la radio e dalla curiosità per il mondo, in particolare per le vite degli altri.

Che idea ti sei fatta dei nostri connazionali all’estero?

Sono molto più italiani di noi per orgoglio, amore e nostalgia di un paese che hanno lasciato, spesso per scelta, ma con rabbia. Penso ai tanti giovani professionisti che l’Italia ha trattato con indifferenza e che, invece, all’estero godono di grande stima.

Quale aspetto della trasmissione è più apprezzato dagli ascoltatori?

Parafrasando Giandomenico Fracchia: quello umano. Non abbiamo la pretesa di raccontare il mondo, ci piacciono le storie di chi lo guarda da prospettive e da latitudini diverse. A volte scegliamo temi spinosi che richiedono parentesi, approfondimenti, pareri tecnici; ma a fare la differenza sono sempre gli ascoltatori e il tocco personale di ciascuno di loro.

Doris Zaccone e lo staff di Capital in the World

Di quante persone è composta la redazione?

Vorrei dirti una ventina invece siamo solo in due: Gianni Faluomo lavora con me da settembre; abbiamo inaugurato insieme la nuova stagione.

Come nasce una puntata e che tempi di lavorazione richiede?

L’idea può arrivare da qualunque cosa: cronaca, giornali, spesa al supermercato. Spesso dalle mail degli ascoltatori che si propongono o che ci chiedono di occuparci di qualcosa di specifico o di una meta che sarà il loro prossimo viaggio o la loro prossima “casa”. Fin qui tutto facile, poi l’idea deve diventare: nome e cognome degli ospiti, numeri di telefono, fusi orari compatibili con la diretta e tema interessante per chi vive in Italia. Se è una puntata fortunata nasce in uno o due giorni.

Secondo te perché l’argomento trattato si presta così bene al mezzo radiofonico?

Perché la voce non mente, ha una forza incredibile e una storia raccontata in mezzo ai Genesis o ai Pink Floyd resta stampata in testa. La radio è un mezzo sincero, funzionano le cose sincere.

Come è stata scelta la collocazione oraria?

Credo casualmente; all’inizio per incastri di palinsesto, adesso siamo gli amici del pranzo per gli italiani, della cena per quelli più ad est, e della notte per quelli dell’ovest… che notoriamente non dormono mai.

C’è qualche storia che ti ha particolarmente colpita?

Una che, inaspettatamente, è entrata nel mio cuore e in quello degli ascoltatori è la storia di Stefano Cacciatori, barcarolo sul Po. Era una puntata dedicata ai fiumi del mondo, quelli che uniscono e dividono, salvano o condannano. Lunghi, belli, navigabili. In fase di ideazione avevo pensato più all’aspetto scenico, geografico. Invece ho scoperto che i fiumi sono la cosa più magica del mondo e che la gente di fiume, meno conosciuta della gente di mare, è piena di poesia.

Pensi che la vostra trasmissione avrebbe lo stesso successo in televisione?

Non lo so. Ma credo che alla radio sia perfetta.

Come le scovate le storie?

Ricerca, partecipazione di una community che è sempre più grande. Poi c’è la componente fortuna, perché le storie dei cittadini del mondo sono belle dovunque e in agguato quando meno te lo aspetti. La fortuna è imbattercisi. La scorsa estate a Torre San Giovanni, in provincia di Lecce, ho conosciuto una donna svizzera che negli Anni ’70 ha lasciato la sua ricca ed emancipata patria per vivere nel sud dell’Italia. In uno strano mix di salentino e tedesco rivendicava una scelta fatta per amore. In mezzo a mille difficoltà ma con una fiducia commovente nel nostro paese.

Ritieni che Capital in the world, come Voglio vivere così, faccia solo sognare o sia di stimolo per qualcuno?

Non solo sono di stimolo entrambi, ma anche di grande consolazione. Gli italiani all’estero mi riportano la stima degli altri popoli per la nostra storia, ammirazione per la nostra cultura. E così riesco a ricordarmi spesso che abbiamo avuto un Rinascimento, prodotto geni dell’umanità intera; e che questa è anche la patria di Leonardo, Michelangelo, Galileo, Marconi.

Guardando il nostro paese attraverso gli occhi dei protagonisti delle storie che raccontate, come lo vedi?

Un paese in cui se lavori seriamente dai fastidio, se raggiri la legge sei un dritto. La raccomandazione è legalizzata, parlare di merito annoia. Le città sono piene di potenziali assassini su quattro o due ruote che però sono considerati, in fondo, brave persone. L’Italia che si vede da fuori (e anche da dentro per quanto mi riguarda) è malata, corrotta, mortificata dalla sua classe politica. Eppure è piena di bellezza e di perfetti sconosciuti di cui andare fieri.

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Intervista a cura di Geraldine Meyer