Simona: vivere a Madrid

Di Enza Petruzziello

Viaggia per scrivere e scrive per poter viaggiare.

Dieci anni fa, ad appena 24 anni, Simona Spinola si trasferisce da Lodi alla volta di Madrid.

Un’esperienza che doveva durare solo pochi mesi, poi «le scarpe si sono accumulate» ed è diventato difficile traslocare.

Nella capitale spagnola lavora come content manager per un portale di matrimoni (Zankyou), ma ama definirsi una travel addicted. Ha sempre la valigia pronta e appena può parte alla volta delle più disparate destinazioni. I suoi viaggi diventano avventure che prendono vita e forma nel suo blog (https://fruhlingdesign.wordpress.com/).

ietnam, Cambogia, il Cammino di Santiago, Grecia, Argentina e Cile, Cuba, Dubai sono solo alcuni dei Paesi che ha visitato e che racconta con dovizia di particolari, e piccole curiosità, ai tanti lettori che ogni giorno affollano le sue pagine web.

Collabora inoltre con diverse testate come Yahoo, Linkiesta, eDreams e Skyscanner. Il suo sogno nel cassetto? Smettere di lavorare per poter viaggiare e dedicarsi a progetti con bimbi sparsi per il mondo. Simona nel suo tempo libero (sembra strano ma riesce a trovarlo) si dedica anche al volontariato in 3 associazioni: profughi, bimbi down e homeless.

La sua avventura oltre i confini italici inizia nel 2006 quando trascorre 3 mesi in Irlanda del Nord come assistente stampa presso l’associazione musicale della University of Ulster. Qui si occupa di organizzare concerti collettivi universitari. «Passavo le giornate a cercare di decifrare gli irlandesi che parlavano solo per dittonghi – oi ar iu? Stava per How are you? Poind per Pound e così via», ci racconta.

simona - vivere a madrid

Simona perchè ha deciso di partire dall’Italia?

«Studiavo Giornalismo all’Università di Parma e la sera lavoravo nell’irish pub della mia città. Dopo la Borsa Leonardo da Vinci nella ridente Irlanda del Nord ne richiesi un’altra per concludere la tesi.

Mi toccò un supercampus privato di Madrid: Ferrari che sgommavano nel parcheggio, un Mac di ultima generazione per ogni alunno, carpe che saltavano nel laghetto circostante e soprattutto professori di età inferiore ai 90 anni.

Nulla che mi facesse rimpiangere Parma, dove l’esame di New media era sulla tipografa di Gutenberg. Alla fine dei miei 9 mesi di ricerca, uno dei professori mi propose un progetto di assistente ufficio stampa presso il Matadero, uno spazio di creazione d’arte incredibile. Un ex mattatoio enorme ristrutturato per ospitare mostre d’arte e concerti, presso il quale avrei dovuto trascorrere 3 mesi ma la vita è beffarda, si sa».

Eri molto giovane quando hai mollato tutto per trasferirti a Madrid. Come ogni trasferimento e cambiamento radicale, non deve essere stata una scelta semplice. Ma forse l’incoscienza dell’età ti ha aiutata. Che cosa non ti piaceva più dell’Italia, quali erano le difficoltà maggiori? E cosa ti ha spinta a trasferirsi proprio nella capitale spagnola?

«In realtà non sono partita con l’idea di un trasferimento definitivo: il programma iniziale era semplicemente trascorrere 9 mesi presso la Universidad Autonoma de Madrid, finire la tesi in Spagna, tornare al paesello, laurearmi con il mio prof bicentenario di Parma e iniziare un master all’Accademia di Brera, che in realtà non è mai partito.

Ma, me ignava tapina, nella dolce attesa che iniziasse, mentre da Milano la data d’inizio scalava di continuo, trovavo negli anni del boom economico spagnolo fior fiori di lavori interessanti. Dopo il Matadero, arrivò il Reina Sofia, poi una Casa editrice dove lavorai durante un anno come editor e traduttrice per cataloghi di arte ed architettura, poi un lavoro come insegnante di Italiano per gli alti vertici di una famosa ditta di trasporti, mentre i miei amici in Italia mi dicevano che non trovavano nulla neppure come barista.

Quindi mi dissi: “Finché Brera non mi richiama all’ovile, sto qui e lavoricchio”. Era una torrida estate del 2007. Sto ancora aspettando».

Quali sono stati i problemi iniziali che hai dovuto affrontare una volta a Madrid?

«Nonostante da 7 anni mi dichiaro 28enne, quando arrivai avevo da poco compiuto il quarto di secolo, vivevo con Erasmus, la gente andava e veniva, io alternavo fiestas locas a levatacce per lavori vari, quindi non ricordo particolari problemi o condizioni spiacevoli durante i primi due anni. Anzi, mi sentivo al top della forma e dell’energia.

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Di sicuro avevo colto immediatamente il mood spensierato della città, che faceva per me quanto basta, come il sale. E gli anni a venire mi hanno confermato questa sensazione».

Ormai ci vivi da dieci anni, vuol dire che hai trovato forse il tuo posto nel mondo. Come è cambiata la tua vita da quando vivi qui? E quali i vantaggi e gli svantaggi di vivere a Madrid?

«Tengo a specificare che ci vivo da 10 anni non perché abbia trovato il mio posto nel mondo, ma perché in questo decennio ho comprato talmente tante scarpe che non so come fare per anche solo pensare a un trasloco.

Madrid offre tanto, ma allo stesso tempo per essere una capitale ha comunque uno stile vivibile e a misura d’uomo grazie alla sua dimensione da barrio. Per chi ha mille interessi e inquietudini c’è di tutto e di più, ha uno stile di vita abbastanza easy grazie a trasporti efficienti e prezzi abbordabili, ma creare relazioni in una città di 6milioni di abitanti di cui il 90% sono expat&co che la vivono come un porto di mare, non è di certo facile.

E questo, almeno per quanto mi riguarda, non è di certo un dettaglio».

Come tu stessa dici: «scrivi per viaggiare e viaggi per scrivere». Oltre al tuo lavoro come content manager curi anche un blog che parla della tua passione: i viaggi. Tieni molto a questo progetto, parlacene.

«Già, per lavoro scrivo. Sono content manager per il portale zankyou.it, nel tempo libero scrivo come contributor per diverse testate, in treno scrivo, e quando dormo sogno di scrivere. Appena posso dilapido il patrimonio che non ho prenotando voli in giro, facendomi viaggi on the road totalmente improvvisati, di cui parlo poi nel mio blog personale.

Da ormai 5 anni fruhlingdesign.wordpress.com propone i miei resoconti di viaggio, oltre a una fornitissima sezione handmade dove propongo tutorial tragicomici di cucito, dato che il mio sogno nel cassetto rimarrà sempre essere una sarta come mia nonna Antonia.

L’obiettivo è scrivere un travel blog che mostri itinerari low cost per noi sempre giovani scappati di casa.

Qual è stato il tuo viaggio più bello?

«Sarebbe come chiedere a un bimbo se vuole più bene a mamma o papà. ma se proprio dovessi scegliere, direi il mio ultimo tour in Asia, Paese di cui sono letteralmente innamorata. Durante le prime 3 settimane di febbraio ho visitato Cambogia e Sud del Vietnam muovendomi in bici e con trasporti locali, è stata un’esperienza che non dimenticherò mai, anche perché stavo vivendo un periodo particolarmente sereno per la mia turbolenta testolina.

L’anno precedente in compagnia di due amiche mi avventurai invece in un tour in autostop (mia mamma tanto non leggerà quest’intervista, vero?) in Cile e Argentina, una sfacchinata tremenda di cui ricordo ore e ore chiusa nei camion, un meteo inclemente ed uno scarso feeling che in generale ho con i popoli latini.

n’avventurona che racconterò ai figli delle mie amiche, ma che non ripeterei. Sul podio dei miei viaggi preferiti metto anche un tour solitario in Cappadocia, un posto incredibile. Ho letto da qualche parte che il viaggio ideale inizia con l’inquietudine e finisce con la nostalgia: riguardando le foto di quell’avventura non potrei essere più d’accordo».

Quello che vorresti fare?

«Vorrei tanto, con uno zaino e una bici, fare un bel tour in solitaria lungo il Me Kong, il fiume più lungo dell’Indocina che tocca Tibet, Laos, Birmania, Cambogia, Vietnam  Per ora mi accontento di scoprire l’Asia passo a passo: dopo il tour dello scorso inverno, tra un paio di mesi partirò per il Myanmar o Birmania che dir si voglia».

Ti manca l’Italia, vorresti tornarci?

«E’ una domanda che mi faccio spesso, ma a cui non so rispondere. Per lavoro ci torno di frequente e, complice l’attesa eterna di un Master di Brera che mi ha fatto vivere questo decennio madrileño con una sensazione di parentesi da chiudere prima o poi, mi sento con un piede qui e uno lì dal giorno uno».

Un’ultima domanda. Come ti vedi tra 10 anni? hai un sogno nel cassetto che vorresti realizzare?

«Tra 10 anni mi vedo ancora 28enne, sempre più impegnata con attività di volontariato a cui per ora dedico solo i weekend, mentre un mio progetto web su cui sto lavorando funzionerà da solo, assicurandomi entrate grazie ai millemila click dei miei fans (maledetta generazione di nomadi digitali sognatori).

E con un nuovo passaporto, perché quello che ho ora in tasca non avrà più pagine libere per nuovi timbri».