Mozambico, “Così sostengo le donne a emanciparsi”: la storia di Kyra

Da Lucca al Mozambico, passando per Barcellona. Kyra Castello stupisce per la sua determinazione. A soli 27 anni, ha già viaggiato tanto e visto molto.

Forse anche troppo per una ragazza così giovane. Vive in uno dei Paesi più affascinanti e difficili al mondo, il Mozambico, dove la grande povertà stride con la bellezza dei paesaggi.

Una scelta di vita, la sua, dettata dall’amore che due anni fa l’ha portata a Ilha de Moçambique.

Una scelta che continua per amore nei confronti della popolazione che la ospita e a cui sono rivolti i suoi sforzi quotidiani. Insieme al compagno, infatti, gestisce un negozietto di articoli di artigianato.

L’idea è di dare lavoro alla gente del posto, ma le vendite purtroppo non sempre garantiscono un salario fisso alle decine di persone che collaborano con lei. Allora senza perdersi d’animo pensa a un progetto di crowdfounding per un corso di formazione dedicato alle donne e alla loro emancipazione, e un altro per una casa accoglienza destinata a 30 bambini.

«Nel mio piccolo cerco di fare quel che posso per migliorare la vita delle persone dell’isola dove vivo», ci racconta Kyra.

Inizia a viaggiare da sola a 16 anni. Dopo il diploma si trasferisce a Barcellona per studiare antropologia. Qui rimane 5 anni, un’esperienza che ricorda tra le più belle della sua vita. «Non ci sono parole per descrivere il periodo che ho vissuto a Barcellona – ci dice -. Sono arrivata giovane ragazzina spaesata e me ne sono andata donna, determinata e forte.

Il primo anno vivevo con altri 5 ragazzi in una casa; il secondo anno ho preso con un’amica una casa con 7 stanze ed è qui che è iniziata l’avventura umana e la lezione di vita più grande. Ho sempre vissuto con una media di 8 persone, per un totale di 90 in 5 anni. Tutte le responsabilità erano mie».

Kyra Castello Mozambico

A parte il caos in casa, come si viveva a Barcellona?

«Bene. Barcellona è una città stupenda. Il clima è mite, i prezzi sono relativamente bassi, la cultura offre davvero tanto tra danza, concerti, festival. La vita notturna la rende ideale per i giovani, ma soprattutto è una città internazionale che ti permette di conoscere persone provenienti da ogni parte del mondo».

Che cosa ti ha spinta, poi, a trasferirti in Mozambico?

«Durante gli anni trascorsi a Barcellona mi sono avvicinata molto alla danza e l’ho amata al punto tale da pensare di farne una professione. Poi ho dovuto scegliere se viaggiare e dunque muovermi nel mondo alla scoperta di nuove culture e modi di vivere, oppure rimanere a Barcellona. Il bisogno di cambiare è prevalso. Ormai stavo finendo l’università, ero stufa di vivere in Spagna e soprattutto mi ero innamorata di un mozambicano. Anche se sembra banale, mi sono quindi trasferita in Mozambico per amore. Senza alcuna paura del cambiamento, vista mia passione per i viaggi e i miei studi in antropologia».

E così da due anni ormai vivi a Ilha de Moçambique, isola meravigliosa e dichiarata Patrimonio mondiale dell’Unesco dal 1991. La città e le fortificazioni sono un eccezionale esempio di un’architettura in cui le tradizioni locali sono fortemente intrecciate con le influenze del passato coloniale portoghese, con le influenze indiane e arabe. Quali sono i pregi e i difetti dell’isola?

«Difficile rispondere a questa domanda. Sull’isola vivono diversi europei, una ventina più o meno, e molti altri hanno una casa per il fine settimana o per trascorrere qui qualche mese durante l’anno. La maggior parte della popolazione sull’isola è povera, anche se lentamente sta nascendo una piccola classe media.

Ilha de Moçambique è molto bella, anzi bellissima: tramonti mozzafiato, cibo fantastico, monumenti bellissimi e di grande importanza storica, spiagge e isole deserte ugualmente stupende. Dall’altra parte, però, ed è questo il lato negativo dell’isola, c’è una grande diseguaglianza economica che mi fa sentire in colpa».

Spiegati meglio.

«Non mi piace sentirmi per la maggior parte del tempo una privilegiata. E non mi piace vedere la classe alta trattare tutto il resto della popolazione come schiavi al loro servizio. Qui la classe alta esiste, ed è molto alta. Nelle città non sono poche le persone ricche, anche se sono sempre molto meno numerose rispetto ai poveri».

Come tu stessa dici, il Mozambico è un Paese in via di sviluppo ma appunto ancora circa della metà della popolazione vive in povertà assoluta. Come è, per te da straniera, abitare qui?

«Mi piace vivere qui, ma vorrei che cessassero le diseguaglianze. Vorrei che tutti ricevessero, o abbiano ricevuto, la mia istruzione. Mi piange il cuore quando il bimbo che vende uova alla domanda: “Cosa vorresti fare da grande?”, mi risponde: “Vendere uova”. Significa che non ha nessun tipo di fantasia, nessuna creatività o apertura al mondo. Forse semplicemente nessuna possibilità di scelta. Inoltre il livello di scolarizzazione e alfabetizzazione è molto basso, nonostante tutti i bambini vadano a scuola, a questo punto non so a fare cosa. E poi mancano moltissime cose sull’isola. Vorrei ci fossero cinema, teatri, attività culturali, concerti che la mantengano viva e che appunto aiutino la popolazione ad aprire i propri orizzonti».

Nel tuo piccolo stai cercando di fare qualcosa per gli abitanti di Ilha de Moçambique. Insieme al tuo compagno gestisci un negozietto di articoli di artigianato dando anche lavoro alle persone del posto. Quanto è difficile avere una propria attività qui?

«Il negozio è anche un punto di base per il mio ragazzo che è una guida turistica. Con il tempo, infatti, stiamo diventando una piccola agenzia che promuove il turismo a contatto con la cultura locale. Non solo viaggi in barca, ma anche corsi di cucina, tour di cibo, visite alle saline vicine.

Ci piacerebbe riuscire a smuovere con più forza l’economia locale, rendendo il turismo un business non solo per le guide, ma anche per hotel e ristoranti. Il nostro negozio è nato proprio con l’idea di promuovere l’economia locale: chi sa fare qualcosa di utile o bello lo porta. In molti casi studio nuovi prodotti e finanziamo i materiali per perfezionarci o ampliare la produzione. Ma sull’isola non c’è molto movimento, e i guadagni non sono sufficienti per riuscire a dare lavoro a tutti, tutto l’anno. Avere un’attività è quindi piuttosto difficile.

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Nel resto del Paese, soprattutto nelle città, sono convinta che sia molto meglio. Le attività che si basano su una clientela di classe media soffrono perché vivono solo di turismo, un turismo soprattutto nazionale e che spesso si esaurisce nel fine settimana».

Dal punto di vista burocratico cosa hai dovuto fare per chiedere i visti e i permessi per la tua attività?

«In generale è molto difficile ottenere i visti prolungati. Nel Paese si entra per 30 giorni, rinnovabili per altri 60, dopodiché si deve uscire e rientrare facendo un altro visto di 30 giorni e prorogandolo sempre per altri due mesi. Esaurita questa opportunità si deve tornare nel proprio Paese di origine.

Per quanto riguarda la residenza servono moltissimi documenti, che nessuno sa mai bene quali siano, anche perchè le leggi cambiano costantemente e la corruzione non aiuta. Si scopre tutto passo dopo passo. Aprire l’attività è invece piuttosto semplice, ma questo non dà il diritto alla residenza, bisogna avere tutta una serie di documenti che dimostrino che l’attività funziona».

mozambico

Tra i problemi principali di questa terra, affascinante ma al tempo stesso così difficile, c’è l’emancipazione delle donne ancora relegate a ruoli marginali all’interno della società. Attualmente gestisci un crowdfunding per un corso di formazione proprio rivolto alle donne. Puoi parlarcene?

«Non tutte le donne hanno ruoli marginali. Il problema principale riguarda le donne provenienti da famiglie prevalentemente povere, che non hanno prospettive per la propria vita, restano incinte molto giovani e questo le allontana dalla scuola.

Inevitabilmente ciò le costringe all’ignoranza ritrovandosi con un figlio che non sanno come nutrire e mantenere, proprio perché non hanno finito gli studi e non hanno imparato un mestiere. L’altro grande problema è che a quel punto, dopo aver interrotto la scuola a causa della gravidanza, crescono il primo figlio e a distanza di poco ne fanno un altro e un altro ancora nonostante non abbiano cibo sufficiente per sfamarli. Anche perché le religioni, sia mussulmana che cattolica non permettono l’uso dei contraccettivi, né lo promuovono. Il mio progetto di crowdfunding ha l’obiettivo di emancipare un gruppo di donne e spingerle ad essere economicamente indipendenti. Spesso infatti dipendono dal marito e questo non é sano.

Pensiamo ai casi di violenza, se non hanno una propria economia non sanno dove andare. Il progetto mira a insegnare loro un mestiere. Nello specifico a lavorare la capulana, tessuto africano ed elemento culturale molto importante in Mozambico. Con l’aiuto di un sarto/stilista europeo vorrei riuscire poi a creare un marchio di moda equosolidale.

Se questo non dovesse accadere, le signore potranno comunque esercitare la loro professione di sarte autonome dal momento che qui i vestiti si fanno, non si comprano nei grandi magazzini».

Non solo donne ma anche bambini. Stai cercando fondi per una casa accoglienza per 30 di loro. Di cosa i tratta?

«Sull’isola ci sono molti bambini lasciati da soli, non perché non abbiano famiglia, ma perché spesso la famiglia non ha i mezzi per poterli crescere e accudire.

Per cui il bambino passa la sua giornata per strada, soprattutto i maschi, chiedendo l’elemosina ai turisti. L’idea della casa accoglienza è creare un luogo dove i bambini si sentano protetti, amati e a casa. Dove possano avere un aiuto per fare i compiti, confidare i loro problemi, giocare per distrarsi in modo educativo, fare workshop di arti e di professioni per poter alimentare i loro interessi e le loro passioni, ed essere così sempre pronti ad apprendere nuove cose.

Il tutto naturalmente senza rompere i legami con la famiglia».

Sei giovanissima, eppure hai deciso di dedicare la tua vita agli altri. Hai mai pensato di mollare tutto e tornare in Italia?

«Ho spesso momenti di sconforto, non è facile nonostante tutto vivere qui. Gli shock culturali non mancano mai. Parlo spesso con mio pare, sento mia mamma, e mia nonna ha finalmente imparato a chiamarmi attraverso WhatsApp.

Torno in Italia più o meno ogni sei mesi, soprattutto per la mia famiglia, anche se tornare in Europa ogni tanto mi piace. Non ci vivrei in Italia, forse a Parigi dove ho fatto l’Erasmus o in qualche altra città europea e del mondo.

Mollare tutto adesso sarebbe un fallimento personale e per i progetti che stanno nascendo. Diciamo che ogni tanto vorrei fare una pausa per recuperare le energie o svagarmi un po’».

volontari mozambico

Progetti per il futuro?

«Vorrei poter realizzare tutti i progetti e portarli a termine, o comunque renderli indipendenti da me e dal mio fidanzato, poter viaggiare e ballare ancora in vere classi come prima, e avere almeno un bimbo».

Per aiutare Kyra e i suoi progetti in Mozambico questi gli indirizzi dove poterla trovare.

Per il progetto donne: www.gofundme.com/ccapulanawomenempowering

Per tour e informazioni turistiche: www.genitomagictour.com/

e www.facebook.com/genitomagictour/?fref=ts

Di Enza Petruzziello