Araceli: cosa significa vivere in un eco-villaggio

Ecco un’altra bella realtà di eco-villaggio. Una storia lunga e, per certi versi, non facile quella di questo Villaggio Verde. Siamo agli inizi degli anni ’80 e Bernardino del Boca, creatore della rivista “L’Età dell’Acquario” comincia a gettare i semi per la nascita di una realtà in cui sia possibile vivere in altro modo. Nel sito del Villaggio Verde la storia di questo luogo è raccontata dettagliatamente, con i momenti belli e le difficoltà. Ora questo luogo magico è tante cose, eco-villaggio ma anche b&b, associazione e molto, molto altro. Noi siamo venuti a conoscenza di questa realtà grazie a Araceli che ci ha scritto per avere la possibilità di parlarne. Araceli è una giovane donna, messicana e laureata in design industriale. Da sempre appassionata di lavori manuali approda a Milano dopo un periodo di lavoro a New York. Poi… nasce il primo figlio e arrivano alcuni cambiamenti insieme ad alcune domande. Poi altri lavori ed esperienze fino alla scoperta e all’approdo al Villaggio Verde. Sul sito, per altro molto ben fatto e dalla bella grafica, www.villaggioverde.org, è possibile sapere tutto ciò che c’è da sapere su questa realtà, sulla sua struttura e le sue iniziative. Noi abbiamo parlato direttamente con Araceli, per conoscerla meglio e per scoprire ancora di più questo luogo.

Ciao Araceli, spiegaci perché hai pensato (giustamente) che la tua storia fosse interessante per i lettori di Voglio Vivere Così

Ricevo tante richieste da persone che vogliono cambiare vita, stanche e disorientate, che cercano un’alternativa. Credo che la mia storia possa essere utile a queste persone. I lettori di Voglio Vivere Così forse sono tra queste persone che cercano un’alternativa.

Cosa significa vivere in un ecovillaggio, anche dal punto di vista umano?

Ci sono tanti ecovillaggi con tanti diversi equilibri, io posso solo raccontare la mia esperienza al Villaggio Verde senza generalizzare. Dal punto di vista umano per me ha voluto dire avere un supporto quando se ne ha bisogno, vuol dire osservare le dinamiche umane in modo profondo per vedere chiaramente che, essendo tutti così diversi, non si può comunicare partendo dalla premessa “io ho ragione” o “quello che dico io è la verità” perché una conversazione con quelle premesse vuol dire discutere inutilmente. Si può veramente comunicare e condividere soltanto quando si è consapevoli che la nostra verità può non essere quella del altro; bisogna ascoltare con apertura per poi raggiungere (nell’occorrenza, quando si deve prendere una decisione sul come agire tutti insieme) un consenso.

Ci racconti una tua giornata tipo?

Per me non c’è una giornata tipo, ogni giorno è diverso. Io vivo le giornate adeguandomi alle necessità del momento. Questo non vuol dire che non si possa pianificare, vuole solo dire che non sempre tutto è pianificabile. Posso però dire quali sono le attività che svolgo: in questo periodo ho ancora delle autoproduzioni di lunga durata (tipo arredamento, mobili, lavori di muratura ecc), le autoproduzioni della quotidianità (pane, dado, detersivi, saponi, orto, ecc). Mi occupo in gran parte della comunicazione verso l’esterno (curo il sito del Villaggio e rispondo ad alcune delle richieste che ci vengono fatte), ho tre bambini quindi faccio la mamma, partecipo alle riunioni della nostra Associazione, e alla nostra riunione di abitanti ogni settimana. Poi mi occupo del bed & breakfast, dei laboratori di autoproduzione e lavoro come cameriera una volta alla settimana. Ci sono giornate in cui so esattamente a cosa devo dare la priorità e altri giorni in cui non ne sono cosi sicura. Allora vado a naso con quello che più mi attira fare quel giorno.

Villaggio Verde

Sul sito c’è scritto che solo due tra le persone che vivono lì, possono lavorare a tempo pieno nella struttura: di cosa si occupano loro?

Le cose sono un pò cambiate negli ultimi tempi. Attualmente abbiamo un dipendente solo; noi siamo una cooperativa agricola/edilizia e siamo vincolati dal dover essere un’azienda per esistere sul territorio. Il nostro dipendente si occupa dell’agricoltura da reddito. Tutti gli altri semplicemente collaborano per portare avanti il Villaggio. Di solito per ogni nucleo familiare c’è uno che collabora al Villaggio e l’altro che lavora fuori.

Pensate di riuscire a raggiungere la completa autosufficienza? E in cosa siete autosufficienti?

Il Villaggio non vuole essere completamente autosufficiente, perché questo vorrebbe dire necessariamente staccarsi dal mondo (cosa che tra l’altro è impossibile e non auspicabile a mio avviso). Siamo autosufficienti perchè ci facciamo l’orto, abbiamo i pannelli fotovoltaici, perché abbiamo un pozzo, un laghetto. Io mi faccio anche tantissime cose in casa per cui non devo dipendere né da un negozio né dal denaro per molte cose. Ci facciamo la legna insieme e ci scaldiamo cosi. Ma viviamo su un territorio che fa parte di un paese sul quale si applicano delle leggi. Tra queste leggi ci sono le tasse che paghiamo, tutte (IMU, tassa rifiuti, ecc). Stiamo facendo un lavoro per contenere il più possibile la necessità di generare introiti; ci sono tre modi per farlo: risparmiando, collaborando e autoproducendosi. Bisognerebbe forse anche chiarire cosa s’intende per autosufficienza. Per me ha voluto dire essere libera. Sono una persona poliedrica, interessata al mondo nel suo complesso e il fatto di autoprodurmi molte cose mi da l’opportunità di esperimentarmi in tanti ambiti diversi. A volte sono davanti al computer, a volte in falegnameria, davanti alla macchina da cucire, in cucina, nell’orto, ecc… Per chi invece ama un’attività e preferisce non dover pensare ad altro, la collaborazione o il denaro (come forma di scambio) diventano indispensabili.

Che cosa trovano, di particolare secondo te, gli ospiti che arrivano da voi?

Che cosa trovano, o che cosa cercano? Che cosa trovano non saprei, dipende molto da cosa cercano e da quale punto di vista partono. In generale le persone che arrivano al Villaggio (almeno da quello che ho potuto osservare da quando sono qui) sono legate alla storia del Villaggio stesso (conoscevano Bernardino del Boca) e ci tengono a frequentare questa realtà perché voluta da lui. Altri arrivano alla ricerca di uno stile di vita alternativo, altri ancora vengono solo per qualche giorno per essere in mezzo alla natura.

Un’esperienza come la vostra è anche una riscoperta della manualità, con tutto ciò che questo significa. Possiamo dire che fare le cose con le mani è anche un modo per tornare ad essere responsabili di quelle cose?

A mio avviso sì, le cose costruite o prodotte da sé acquisiscono un valore diverso. C’è più consapevolezza nel lavoro che sta dietro alle cose, si scoprono anche legami nei cicli produttivi che permettono di non sprecare nulla. Inoltre credo che il rapporto con la materia sia diverso quando uno è in grado di manipolarla per creare.

Condivisione: che cosa significa per te questa parola?

La vera condivisione non ha pregiudizi, non cerca di convincere e non è legata a un’idea di cosa e giusto o sbagliato, semplicemente si parla, si fa qualcosa insieme per arricchirsi reciprocamente. Oppure, si sta insieme anche senza fare nulla.

In questi tempi di crisi si sentono molti così detti esperti parlare della necessità di tornare a crescere. Alla luce di una vita come quella di un ecovillaggio che cosa vuol dire “crescere”?

Credo che la parola crescere spesso sia legata a un aumento di qualcosa; a mio avviso l’unica cosa da far crescere in questi tempi è la nostra consapevolezza.

Villaggio Verde, Araceli

Devo, per mestiere, fare l’avvocato del diavolo. Quindi ti devo chiedere come vivi una contraddizione di questo tipo: le persone che vengono da voi, per raggiungervi usano la macchina; quindi inquinano e consumano benzina; però con la loro presenza e il loro contributo anche economico consentono alla vostra realtà di proseguire.

A mio avviso le contraddizioni ci saranno sempre, viviamo nella dualità; se non c’è luce non c’è buio, se non c’è amaro non c’è dolce e cosi via. Tutto sta nell’equilibrio tra tutte le contraddizioni e l’equilibrio sta lì dove noi stiamo bene e dove sta bene anche chi ci circonda. Tornando all’esempio specifico, al Villaggio ci si può venire, volendo, in treno e bicicletta. Sì, e vero, i percorsi non sono idonei per un ciclista ma le persone veramente convinte lo fanno lo stesso. Mio marito, ad esempio, amante della bicicletta va anche al lavoro in bici dal Villaggio fino a Paderno Dugnano. Sono scelte personali.

Tu hai tre figli se non sbaglio: come vivono loro questa esperienza? Ci sono altri bambini nella struttura?

Si ho tre bambini. Loro al Villaggio sono liberi di sperimentare il mondo, escono da casa e vanno in giro da soli, cosa che in città è impossibile se non dopo una certa età. Questo io lo trovo un grosso vantaggio. Si confrontano molto di più con le persone perché vivere in comunità permette ai bambini di avere più punti di riferimento, di sperimentare punti di vista diversi da quelli del papà o della mamma, facendo cose insieme anche ad altri. Al momento c’è un altro bimbo piccolo al Villaggio e tre ragazze.

Avete stabilito forme di collaborazione con altri ecovillaggi?

Il Villaggio fa parte della RIVE (Rete Italiana degli Ecovillaggi) e ci sono degli incontri tra eco villaggi fatti per collaborare. Io, al momento, sono troppo presa ancora con la nuova casa e con il riequilibrio del Villaggio in generale per poter allargare il cerchio d’azione. Mi auguro che l’anno prossimo riusciremo a essere più attivi. In ogni caso so che ci sono progetti di vario tipo in cantiere alla RIVE per collaborare di più, a partire da un elenco di competenze che si hanno e che possono essere messe a disposizione nei vari ecovillaggi.

Che cos’è per te il cambiamento?

Provo a rispondere secondo quello che credo tu intenda. Credo che stiamo vivendo un periodo storico, e sono molto contenta di essere qui, ora. Abbiamo messo in discussione molti paradigmi (per forza o per volontà non importa) e ora è il momento di trovarne di nuovi. Io mi auguro che lo si faccia con la consapevolezza che oggi potranno andare bene, domani chi lo sa. In ogni caso chiedersi il perché delle cose fa sempre bene, aiuta a non dare mai nulla per scontato e vivere in continua evoluzione e apertura verso nuove esperienze. Sempre nel qui e ora.

Qual è stato l’elemento scatenante della tua decisione di “vivere così”?

Un’intolleranza verso la città. Non ci stavo più dentro: buttare l’organico nell’indistinto, non avere contatto con la terra, osservare l’acqua piovana intasare le strade impermeabili della città. Troppe risorse sprecate e l’impossibilità di fare le esperienze che cercavo.

Immagino che Milano ti sembrerà lontanissima da lì. Se dovessi descrivermi in tre parole la vita in città cosa mi diresti?

Da quando sono qui, mi è capitato qualche volta di tornare in città. La trovo invivibile e non vuole essere una critica per chi ci vive; dipende dalla propria ricerca, c’è chi si trova da dio e non potrebbe farne a meno. Per me le parole sarebbero: spreco, sterile, mentale.

Ricordate di dare un’occhiata al sito www.villaggioverde.org e scoprirete una bella realtà.

A cura di Geraldine Meyer