Marco e la sua vita in Estonia

Marco Iovino, trasferitosi in Estonia nel Giugno 2006 ci racconta cosa ha significato e significa per lui  vivere in un Paese del Nord Europa che dopo la partenza dei sovietici è ora  in piena rinascita economica.

Non ero mai stato prima in una repubblica ex-sovietica, allorche’ atterrai all’aeroporto di Tallinn in un buio pomeriggio di gennaio del 2002. Era la mia prima volta e non sapevo cosa aspettarmi da quei quattro giorni destinati a selezionare nuovi fornitori di pannelli lamellari e di semilavorati in pino per l’industria del mobile irlandese.

A quel tempo non avevo alcun progetto di emigrare dall’Italia, ma avvertii subito, nonostante la lingua ostica, i caratteri silenziosi e introversi delle persone, il panorama deprimente dalla strada statale, dovuto senz’altro anche al tempo triste e piovoso di quel secondo giorno di visita, avvertii subito spuntare in me una sensazione misteriosa e imprevista, sconosciuta e apparentemente inspiegabile: “In questo Paese potrei facilmente trovarmi a mio agio e inserirmi, sentirmi a casa.” Davvero un pensiero strano in un Paese ancora cosi’ fortemente segnato nelle infrastrutture, nel modo di pensare e nelle impressioni visive dal passaggio della devastazione sovietica e della sua cultura edilizia traballante.

Soprattutto notai la vita semplice e tutto sommato la ricettivita’ e l’orgoglio della popolazione locale, respiravo la vivace aria della novita’ e dell’ottimismo, la stessa aria che respiravano loro, non ancora assuefatti ai valori della liberta’ e della democrazia, alla facolta’ della libera impresa e della libera iniziativa, di gestirsi le giornate a proprio piacimento, con nuovi ritmi piu’ interessanti e fantasiosi. (Come se fossero cose da dare per scontato!)

Toccavo con mano la loro fresca gioia di essere tornati finalmente a rifiorire indipendenti, e tutti gli stimoli e i fermenti che ne derivavano, per loro e anche per me, ritrovatomi spesso, e ancor oggi mi capita, a invidiare l’esperienza di chi ha potuto avvertire sulla propria pelle un simile, tanto desiderato e rivoluzionario cambiamento verso una vita nuova e migliore, un tanto emozionante e indimenticabile, epocale stravolgimento. Posso usare il termine “romantico”?

Ho sempre trovato estremamente motivante confrontarmi con un Paese lontano, con una cultura e una lingua diverse da quelle mie abituali. A maggior ragione quando cio’ comporta, almeno indirettamente, un’immersione nella Storia recente di tale Paese, in un passato cosi’ diverso dal nostro, riflesso di una cultura e di una societa’ diametralmente opposte, quelle sovietiche, con tutto il loro ricco patrimonio di strascichi dolorosi, di vite spezzate, di piccoli grandi aneddoti, di enigmi irrisolti e di drammi irrisolvibili, un terreno da esplorare e da esaminare con l’attenzione di un (con la MASSIMA modestia, e sperando di non venire frainteso) piccolo, privatissimo, “archeologo culturale”, mosso solo da spontanea passione, a puro e semplice titolo di arricchimento personale, conscio che il fresco passaggio della Storia ha lasciato segni profondi e importanti. Un terreno che e’ ancora li’, a disposizione dei curiosi e di tutti coloro che vedono nella Storia qualcosa di piu’ di un noioso libro pieno di aride date polverose.

Perche’ chi non ascolta la Storia, non ascolta se’ stesso.

E affascinante ho sempre trovato il mondo dietro la „cortina di ferro“. Un pezzo di Europa non cosi’ lontano da noi, con popolazioni dai tratti somatici e potenzialmente dagli stili di vita non cosi’ distanti dai nostri. Eppure un mondo cosi’ sconosciuto e intrigante, forse perché ci era sempre stato sostanzialmente precluso recarci dalla loro parte, come due parti dello stesso corpo che fossero impossibilitate a toccarsi: quando l’impedimento viene meno, il contatto e’ immediato e inevitabile, automatico e doveroso. Le due parti si attraggono istintivamente e iniziano a studiarsi, gettano presto la maschera della diffidenza e, forse riconoscendosi come di fronte a uno specchio, imparano a rispettarsi, ad apprezzarsi e amarsi.

E interessante e’ pure osservare i contorni entro i quali prende forma la convivenza tra il milione scarso di estoni e la massiccia minoranza etnica di quasi mezzo milione di russi, ora a parti invertite, con i russi a fare la parte del topo. Due popoli con caratteri, usanze e tradizioni radicalmente differenti, ma costretti a convivere nel pieno di tali quotidiani contrasti, con una scomoda Storia in comune alle spalle, e con un fazzoletto di terra sotto i piedi, per molti di loro recintato nei fatti.

A onor del vero, non posso sottacere i reali vantaggi pratici di cui puo’ godere uno straniero “occidentale” in Estonia: snellezza e trasparenza burocratica, regime fiscale vantaggioso per l’imprenditoria, la relativa facilita’ a inventarsi e ad avviare un’attivita’, un altissimo livello di informatizzazione a tutti i livelli, un tangibile rispetto da parte delle autorita’, l’evidente opportunita’ di instaurare rapidamente relazioni sociali “verticali”, e naturalmente il minore costo della vita.

Fattori pesanti quando sull’altro piatto della bilancia fluttuano con progressiva insistenza la rigidita’ e l’inflessibilita’ delle soffocanti regole e dei schematici, illiberali modi di vita unioneuropei, sempre piu’ standardizzati, appiattiti e pianificati, privati di significato e della forza d’intervento del singolo, e conditi oltretutto col tabu’ della parallela e dolosa inflazione post-euro, negata ufficialmente con l’ipocrita e presuntuosa leggerezza di chi, per ripugnante convenienza politica, sarebbe capace di negare il fenomeno dell’acqua alta a Venezia in una giornata piovosa.

Nella giungla delle regole lo spirito soffoca indossando una camicia di forza.

Conseguentemente, e direi necessariamente, i miei viaggi nella giovane, libera e fertile terra d’Estonia sono divenuti sempre piu’ frequenti e di sempre maggiore durata, fino a pareggiare praticamente il tempo trascorso in Italia, complice anche la costante crescita dei miei interessi lavorativi in loco.

Fino al grande passo, che si era ormai ridotto a essere per me un piccolo passo, nel 2006, nel mese di Giugno, il mese in cui in Estonia si impara in modo indimenticabile cosa sia la luce del Sole. E cosa sia un Paese bellissimo, con una natura ancora forte e sovrana, talvolta primitiva, un Paese dalle forti contrapposizioni e dalle forti tinte, un Paese dove e’ piu’ che mai possibile essere artefici del proprio destino e vivere in profondita’ una vita autentica, senza ostacoli artificiali. Molto piu’ di un banale “Paese freddo e lontano”, come invece e’ purtroppo nella comune accezione di molti.

Da allora, professionalmente parlando, non ho fatto altro che proseguire e sviluppare la mia attivita’ esistente, ora trasferita in una nuova ragione sociale registrata in Estonia. Dove ho imparato pure cosa sia il vero Inverno, quando una temperatura notturna di -30* C e’ tutt’altro che insolita.

A dirla tutta, mi occupo di esportazioni, essenzialmente dai Paesi Baltici, di mobili finiti e semilavorati di legno per l’industria del mobile, dei serramenti e affini, sui mercati di Danimarca, Italia, Irlanda e Inghilterra. Ma anche di altri prodotti. Principalmente di pino nordico (“pinus sylvestris”), un legno molto diffuso nel Nord Europa, sia come vegetazione che come impiego, e tradizionalmente di basso costo, benche’ nell’ultimo paio d’anni varie situazioni geopolitiche, alla soglia del conflittuale (identificabili con l’espressione spettrale e impietrita del buon Vladimiro Putin…), ed economiche ne abbiano reso il prezzo piu’ instabile.

Vale la pena aggiungere che, onde approfondire ulteriormente il mio confronto con il territorio e con la vera vita indigena, immersa nel contesto contadino, ho scelto volontariamente come mia prima dimora in Estonia un appartamento a Lepna (un posto assolutamente incredibile e difficilmente descrivibile a parole per un “occidentale”, dove gli ultimi 17 anni non sembrano essere ancora trascorsi), minuscolo villaggio di 650 persone, frazione di Rakvere (a 3 km dalla citta’), Estonia settentrionale, a un centinaio di km o circa un’ora di strada (in estate) da Tallinn, in direzione di Pietroburgo, sostanzialmente equidistante dal confine con la Russia.

Perche’ si puo’ viaggiare o emigrare in svariate maniere e con svariate motivazioni, ma credo fermamente che l’occhio curioso e lo spirito umile siano, in breve, il segreto per imparare le preziose arti della tolleranza e della comprensione, per crescere in conoscenza, per imparare a vivere e a stare al mondo dunque, o almeno per togliersi i paraocchi e iniziare ad aprire la mente per curarsi le maleodoranti e contagiose piaghe della miopia e della presunzione, piaghe purtroppo tipicamente italiote.

O, per dirla in meravigliosa sintesi con le parole di Hans Christian Andersen, uno che in materia se ne intendeva: “Viaggiare e’ vivere.”

Marco Iovino