Antonio e la sua vita in Burundi

Il Burundi è uno stato africano circondato dal Rwanda, dalla Repubblica Democratica del Congo e dalla Tanzania. Situato nella regione dei Grandi Laghi il Burundi dopo la colonizzazione tedesca e belga ha conquistato l’indipendenza nel 1962.

La storia del paese è, come molti altri stati africani, insanguinata da colpi di stato e guerre. La più sanguinosa fu quella ricordata con il nome di ikiza, un vero e proprio genocidio etnico che causò un numero di vittime compreso tra le 400.000 e le 500.000. Una storia che accomuna questo stato a molti altri stati della regione; un destino sanguinoso da cui l’occidente non si può certo dire estraneo. Colonialismo prima, interessi economici poi hanno spesso portato gli stati occidentali a chiudere colpevolmente gli occhi su quanto andava accadendo quando non alimentantavano, in prima persona, guerre interne e fratricide. Ma il Burundi è anche conosciuto come il paese “delle mille colline” e dei “tamburi sacri”; un paese dalla bellezza rigogliosa e suggestiva. Ne parliamo con Antonio Zivieri che, da qualche anno ci vive e lavora. Voglio ringraziare in modo particolare Antonio per la disponibilità con cui ha risposto a questa intervista, per il tempo che ci ha dedicato districandosi tra innumerevoli impegni. Una gentilezza e una carica umana di cui non so quanto sia “colpevole” l’Africa ma che probabilmente ha attecchito su un terreno di umanità e sensibilità già fertile di suo.

Antonio Zivieri, Burundi, Africa

Ciao Antonio, qual è stato il tuo percorso professionale?

Dopo la laurea in farmacia nel 1997, fatta eccezione per una breva parentesi nell’industria farmaceutica, ho sempre lavorato in diverse farmacie della provincia di Pescara; come farmacista collaboratore, come sostituto del direttore, ho fatto turni notturni e mi sono anche cimentato con alambicchi e distillatori in un laboratorio galenico! Nel 2004, preso da un’improvvisa voglia di cambiamento, mi sono deciso al grande passo ed ho lasciato l’Abruzzo, il contratto a tempo indeterminato, e anche l’Italia, per atterrare in mezzo ai banani del Burundi come responsabile di un progetto sanitario di un’organizzazione internazionale bolognese. Negli anni successivi ho lavorato per diverse organizzazioni non governative italiane e straniere in Ciad, in Costa d’Avorio e ancora in Burundi. In qualità di farmacista mi occupo per lo più di progetti che hanno a che fare con la sanità pubblica: campagne di vaccinazione, malattie legate all’igiene o alla mancanza di acqua, lotta all’AIDS, alla malaria, salute materno-infantile, etc etc. In parallelo alla mia professione di “cooperante” conduco, insieme a mia moglie Manna, l’APRODCO Tour, agenzia di turismo etico e responsabile che organizza viaggi in Burundi, Tanzania, Rwanda e Congo.

Antonio qual è stato il tuo primo incontro con il Burundi?

Ho sentito parlare di Burundi per la prima volta da mia sorella nel 2004; lei già lavorava a Bujumbura come amministratrice per la stessa ong bolognese per cui ho poi lavorato anch’io: avevano bisogno di un farmacista che mettesse ordine nel loro deposito farmaceutico e mi propose di passare lì le mie 2 settimane di vacanze. Sono partito nel novembre dello stesso anno per tornare in Italia due anni più tardi con moglie e un figlio!  Ricordo perfettamente il giorno in cui atterrai all’aeroporto di Bujumbura: a parte la striscia d’asfalto della pista di atterraggio, tutto intorno c’erano campi coltivati e vegetazione. Ma la cosa che mi colpì fin da subito fu che niente fosse come me lo ero immaginato: l’Africa è una terra completamente diversa da come ce la prefiguriamo vedendo le immagini della televisione.

Che paese è dal punto di vista socio-economico?

Come molti paesi dell’Africa, anche il Burundi è un paese di contraddizioni: la povertà estrema della maggioranza della popolazione contrapposta alla ricchezza straordinaria di pochi privilegiati; il ceto medio è quasi inesistente. L’economia del paese si basa quasi esclusiavamente sull’agricoltura: thè e caffé sono le culture pregiate destinate all’esportazione, mentre riso, canna da zucchero, cereali, legumi e ortaggi sono destinati al consumo locale. Esistono poche industrie, per lo più concentrate nella capitale, e qualche impresa mineraria nelle zone di frontiera con la Tanzania.

Che cos’è l’ospitalità per la popolazione locale?

L’ospitalità per il popolo burundese è sacra! E lo diventa ancor più quando l’ospite è il “muzungu”, l’uomo bianco. È un aspetto vero ed autentico della cultura burundese che ho sperimentato personalmente sulla mia pelle. Ogni turista puó diventarne testimone diretto quando in un hotel, in un ristorante o anche in una casa o un giardino la gente lo colmerà di premure e di attenzioni.

Nel tuo sito inizi parlando del mal d’Africa: prova a raccontarcelo

Ho sempre pensato che il “mal d’Africa” fosse una leggenda legata alle avventure degli esploratori del XIX° secolo e esaltato da qualche fortunata pellicola cinematografica! Mi sbagliavo: rientrato in Italia nel 2006, non ho resistito neanche un anno! Mi mancavano i colori, gli spazi, la gente, i “mali” dell’Africa e i momenti di gioia: la vita trascorre tra alti e bassi, ma ogni momento è vissuto fino in fondo, intensamente. Dietro al bancone della farmacia, guardavo il traffico di Milano ma davanti ai miei occhi vedevo le distese di terra rossa piena di vegetazione, le donne con i cesti sulla testa recarsi nei campi e gli uomini curvi sotto il carico delle loro biciclette. Mi sentivo alienato, completamente al di fuori di ogni discussione e non vedevo l’ora di tornare a casa per parlare di Burundi ed Africa con mia moglie e mio figlio. Dopo undici lunghissimi mesi, ripresi l’aereo per il Ciad: quando atterrai all’aeroporto di N’Djamena venni investito dal caldo soffocante della stagione secca e mi dissi (precise parole): “Finalmente! Si torna a vivere!” Nei mesi successivi mi sono confrontato con le devastazioni del Darfour, con la miseria dei profughi Sudanesi, finchè siamo stati evacuati nel vicino Cameroun, su un aereo della Croce Rossa, a causa del tentativo di colpo di stato del gennaio 2008. Se questa non è vita!

VIVERE IN BURUNDI

Che tradizioni ci sono nel Burundi?

La cultura burundese è ricca di tradizioni che resistono malgrado il passare degli anni. I tambourinaires stessi sono il segno della tradizione che resiste al passare dei secoli. Per non parlare del matrimonio tradizionale che, seppure inquinato dal trascorrere degli anni, si celebra ancora in tre fasi. La dote, con cui la ragazza (paragonata ad una mucca! Segno di ricchezza e di fortuna nella tradizione burundese) viene promessa in sposa al marito e a tutta la sua famiglia; poi c’è la cerimonia religiosa vera e propria con il ricevimento e, infine, una terza fase in cui la famiglia della sposa va a visitare la neo coppia per accertarsi che la “mucca” sia stata ben trattata! Di tutte queste tradizioni, abbastanza complicate a dire il vero, conosco solo gli aspetti moderni ma ogni burundese ne conosce l’intimo significato e l’esatta collocazione “spazio-temporale”!

Hai avuto particolari difficoltà nell’iniziare un’attività lavorativa?

Nella prima metà del 2008 decidemmo di creare qualcosa che potesse dare vero lavoro e decidemmo che quel qualcosa dovesse avere l’aspetto di un’associazione. La più grande difficoltà è stata far comprendere ai soci dell’associazione che potevamo farcela da soli senza finanziamenti “istituzionali”. Il messaggio fin dall’inizio è stato: “pochi soldi, ma veri!”. Di gente che ha lavorato per noi ne è passata tanta ma in pochi hanno capito che una ricchezza (non necessariamente materiale) la si costruisce poco alla volta, giorno dopo giorno.

Dal punto di vista naturalistico come ce lo racconteresti questo paese?

Il Burundi è un paese “selvaggio”, dove gli interventi dell’uomo sono completamente assenti, nel bene e nel male!. A parte la regione limitrofa al lago Tanganyika, pianeggiante, il resto del paese è montagnoso: dai 700 m della capitale si passa ai 2.200 m delle montagne che la sovrastano. Le montagne si frammentano poi nelle mille e una collina che caratterizzano la geografia del paese: sono alte e scoscese per lo più nel nord del Burundi e diventano più dolci a sud e ad est, al confine con la Tanzania. Ovunque la vegetazione è rigogliosa: i campi coltivati ancora in maniera tradizionale, lasciano il posto a distese incolte o a foreste lussureggianti, solcate da innumerevoli corsi d’acqua, a volte piccoli e tumultuosi a volte di grandi dimensioni, placidi e inesorabili. Nelle foreste si possono incontrare diverse specie di primati (per lo più scimpanzè e babbuini) mentre lungo i corsi d’acqua più importanti, ippopotami e coccodrilli sono frequentatori abituali. I laghi del nord, poi, sono stati per anni un vero paradiso per gli ornitologi, con centinaia di specie diverse di uccelli.

Tu ti occupi di turismo etico: ci dici in cosa consiste e se hai delle attività particolari verso cui ti indirizzi?

La nostra iniziativa di turismo è nata senza alcuna idea di cosa fosse il “turismo etico”: abbiamo pensato che anche il Burundi potesse essere una meta turistica e ci siamo interrogati su quali potessero essere gli aspetti da mostrare ad eventuali viaggiatori. Pensa e ripensa, la verità era sotto gli occhi di tutti: la vera Africa! Solo in seguito ci siamo resi conto che il modo in cui volevamo mostrare il paese agli occhi dei turisti coincideva con gli scopi del turismo etico: noi vogliamo un contatto intimo tra il viaggiatore e la gente e vogliamo che la maggior parte dei proventi del viaggio resti alla popolazione locale. Niente hotel di lusso o ristoranti alla moda, ma piccole pensioni gestite da burundesi e cabaret dove mangiare i piatti tradizionali della cucina burundese.

Il turismo etico, non nel tuo caso, spesso nasconde un modo per mettersi a posto la coscienza: cosa pensi dell’atteggiamento degli occidentali nei confronti dell’Africa?

Più che di atteggiamento, parlerei di atteggiamenti, che cambiamo secondo la categoria professionale delle persone; si va dal pietismo dei cooperanti allo stile “colono” degli imprenditori stranieri; il denominatore comune è comunque un sentimento di superiorità. Dal canto mio cerco di comportarmi qui come mi comporterei in Italia, anche se molte volte questo significa prendere delle belle “bastonate”!

Noi italiani ultimamente non brilliamo certo per accoglienza e tolleranza: ti capita di parlarne con amici africani?

La prima persona che si è scontrata con l’intolleranza degli italiani è stata mia moglie e francamente sono rimasto sorpreso dalle sue osservazioni. Cresciuto in un ambiente molto aperto, non pensavo che si sarebbe trovata di fronte a tanti atteggiamenti xenofobi; anche perché credevo davvero nella definizione di “italiani brava gente”! Credo però di non dire una bugia se affermo che nonostante tutto, rispetto ad altri popoli il nostro senso dell’ospitalità ci rende ancora meno ostili di altri nei confronti degli stranieri.

Un italiano che volesse trasferirsi lì per lavorare, che pratiche deve sbrigare dal punto di vista burocratico?

Le pratiche da svolgere in Burundi per impiantare un’azienda sono poche e richiedono un paio di giorni al massimo. Il paese ha messo in piedi una serie di iniziative volte ad incoraggiare gli investitori stranieri e, anche per questo, le pratiche burocratiche sono ridotte al minimo. Uno degli scopi della nostra associazione è facilitare l’insediamento di imprese italiane: siamo infatti fermamente convinti che il modello italiano si sposi perfettamente con lo stile di fare impresa necessario al Burundi e allo sviluppo dell’Africa in generale.
Aborriamo gli “investimenti” delle ricche famiglie indiane o arabe che creano sfruttamento e corruzione e vorremmo vedere le piccole e medie imprese italiane entrare in Burundi e fare altrettanti profitti.

Vivere in un paese come il Burundi cosa ha messo in gioco di te come persona? Valori, priorità sono cambiati?

In effetti cambia tutto! O meglio all’inizio pensavo di dovermi adattare ad un altro modo di vedere le cose, poi mi sono reso conto che cambiare completamente il proprio modo di vedere le cose ti fa diventare una “brutta copia” del burundese! Quindi priorità, punto di vista, atteggiamento, modo di parlare etc cambiano, ma i valori devono rimanere gli stessi.

Questo il link per visitare il sito di Antonio: www.turismoburundi.com

Intervista a cura di Geraldine Meyer