Certo, in Africa non è facile convincere i pescatori a privarsi del lavoro dei figli e gettare i semi della speranza di un futuro diverso. Ma l’insegnante, testardo, ci prova e ci riesce. Torna nel Belpaese carico di gioia. Dalla sua esperienza, è nato un libro.

Vivere in Senegal

E’ la storia di Emiliano Sbaraglia, classe ’71, che ha raccolto i ricordi della sua parentesi africana nel libro Il bambino della spiaggia”, edito da Fanucci. Un’autobiografia, che ha soprattutto l’obiettivo di denunciare le storture del Belpaese. Prima fra tutte, l’impossibilità di contare su un lavoro stabile.

Vista- dice Sbaraglia- la natura precaria del mio lavoro nelle scuole, ormai da undici anni ogni estate sono sempre stato costretto a inventarmi un’occupazione. Lo scorso anno, ad esempio, ho fatto il cameriere a Brooklyn nei mesi di luglio e agosto. E non è stata un’esperienza facile, seppure molto stimolante”.

Dunque, la precarietà del lavoro alla base della sua parentesi in Africa. Il suo libro si apre con una lettera aperta alla Ministra della Pubblica Istruzione, Gelmini, in cui scrive: “Sono stanco, ma non vorrei passare per bamboccione”. E’ così?

Bisogna dire, però, che non ho lasciato l’Italia in modo definitivo. Mi piacerebbe passare qualche mese dell’anno qui, in Senegal, con la speranza di riuscire ogni volta a portare un po’ di soldi, medicinali, vestiti, o altro che possa servire ai bimbi.

Altre motivazioni che le hanno fatto maturare l’idea di partire?

Sì, oltre alla precarietà del lavoro, c’è altro. Il fatto che da qualche anno a questa parte in Italia si respira un’aria che non mi piace, un atteggiamento generale che non condivido nei confronti del rispetto verso l’altro.

Cosa intende?

Non voglio dire che bisogna essere permissivi in fatto di immigrazione.

Ma?

Soltanto ricordare che apparteniamo tutti a una stessa razza: la razza umana.

Ma perché ha scelto proprio l’Africa?

L’idea di andare in Africa, e in particolare nella comunità di villaggi di pescatori a sud di Dakar, è nata dopo un’esperienza di due settimane fatta lì a giugno scorso. Ci ero andato per un réportage, che mi era stato richiesto da un mensile, dopo un’intervista radiofonica, realizzata con il presidente del Centro di accoglienza “I bambini di Ornella”.

Vivere in Senegal

Cosa è successo a quel punto?

Proprio quando mi sono reso conto che per quest’anno non sarebbero arrivate le convocazioni per le supplenze nelle scuole, è arrivata, invece, una lettera dal centro di accoglienza che mi chiedeva se conoscessi qualcuno disposto a fermarsi per un periodo di tempo limitato nella comunità di villaggi, come coordinatore didattico alla pari (con vitto e alloggio).

Cosa ha fatto?

L’ho preso come un segno del destino e sono partito.

Nessuna paura di buttarsi in questa avventura e in una terra tanto diversa dall’Italia?

La paura di cominciare in una terra diversa e lontana dall’Italia non mi ha fatto paura. Sapevo cosa avrei incontrato e che avrei lavorato per dei bambini che hanno bisogno di molte cose. Anche se, come scrivo nel libro, i dubbi erano molti.

Qual è il suo progetto per il Senegal?

Prendere una casa con qualche stanza per dare alloggio ad eventuali ospiti italiani. Vorrei che la casa avesse un giardino esterno per organizzare delle docce all’aperto, tavoli e sedie per lavare e far mangiare i bambini nei periodi dell’anno, in cui mi fermerò. Oltre a questo, desidererei mandare avanti le attività didattiche di collaborazione esterna con il centro di accoglienza.

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Ho letto che pensa di rimanere per sempre un insegnante precario. Come fa ad avere questa certezza? Il Governo non fa abbastanza per voi insegnanti?

Questo Governo, alla fine del 2011, avrà tagliato otto miliardi di euro alle scuole pubbliche, pur trovando i soldi per le scuole private e per far aumentare gli stipendi agli insegnanti di religione.

Vivere in Senegal

Ci sono stati Esecutivi più sensibili ai problemi degli insegnanti?

Se la situazione è di sicuro peggiorata, c’è da dire che gli altri Governi non hanno mai fatto nulla per migliorarla.

Perché?

Non hanno mai investito nulla. Il che per certi versi è ancora più grave. E pensare che qui in Senegal nell’ultima legge Finanziaria è stato previsto un investimento nella Pubblica Istruzione pari al 30% della somma totale

Come vive in Senegal?

In Senegal vivo in una piccola stanza del centro di accoglienza, essenziale e funzionale: qualche candela, qualche libro, una piccola radio e la chitarra. La mattina ci si alza verso le 7,30, iniziano i corsi di alfabetizzazione. Poi vado alla scuola pubblica per seguire i corsi e parlare con gli insegnanti. A pranzo si mangia con chi lavora nel centro. Tutti nello stesso piatto, come a cena.

Vivere in Senegal

E poi?

Di pomeriggio si lavora con i talibé, i bambini più poveri del Paese, lasciati dai genitori in custodia ai marabout nelle daar, dove viene loro insegnato il Corano. Noi, invece, facciamo alfabetizzzione di francese anche a loro, e questo è molto importante. Di sera porto i bimbi a giocare a pallone, e loro sono felicissimi. Si sentono meno soli, meno abbandonati. Poi si fanno un tuffo e una doccia, e dopo cena si parla un po’, o si va a fare un giro tra i villaggi.

Cosa l’ha colpita di questa terra?

Nonostante le contraddizioni, e tutti i problemi di corruzione politica, di questa terra mi ha colpito la serenità della gente. Qui gli abitanti salutano anche le persone che non conoscono.

E sa cosa fanno?

Cosa?

Accarezzano loro le mani. Qui riconoscono e rispettano i ruoli e il lavoro che si fa. E non si dimentichi che parliamo di un Paese musulmano all’85%.

E la qualità della vita com’è in Senegal?

Dipende. Di certo il Senegal è uno dei Paesi africani che se la passa meglio. Ma la soglia di povertà e malnutrizione, soprattutto per i bambini, è ancora elevatissima. Se poi si va a Dakar, in particolare in alcune zone della città, c’è chi può sostenere un tenore di vita anche piuttosto alto.

Altri aspetti negativi?

Parlavamo di corruzione, ma aggiungerei anche un certo atteggiamento della popolazione.

Cioè?

Rimandano a domani quello che si potrebbe fare oggi. Poi sono fatalisti, almeno secondo il mio punto di vista. Con le dovute eccezioni, è ovvio, nel senso che esistono anche molti senegalesi laboriosi.

Una parola,  una storia o un nome senegalesi che porterà nei suoi ricordi?

Questo lo lascio scoprire ai lettori, nel finale del libro.

Intervista a cura di Cinzia Ficco

Emiliano Sbaraglia, classe 1971, è dottore di ricerca in Letteratura italiana. Ha pubblicato un saggio-intervista sulla figura di Piero Gobetti (Cento domande a Piero Gobetti, Non Luoghi, 2003), uno studio su Enrico Berlinguer (Incontrando Berlinguer. Passioni e parole di un leader scomodo, Non Luoghi 2004), e il reportage I sogni e gli spari. Il ’77 di chi non c’era (Azimut 2007). Collabora con le riviste Nuovi Argomenti, Sincronie e scrive per le pagine culturali del sito micromega.net.

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