Claudio Grillenzoni: un giornalista a Shangai

“Dopo secoli di umiliazioni e depressione, ora i cinesi sono ottimisti come non mai. Il prodotto interno lordo del Paese è cresciuto in media di nove punti annui nell’ultimo decennio. Dunque, ogni abitante si sveglia confidando nel fatto che domani sarà ancora meglio di oggi”. Così Claudio Grillenzoni, modenese, del ’72, descrive gli abitanti del Regno di Mezzo, dove vive da qualche anno. Fa il giornalista di food and beverage a Shangai e collabora come consulente per aziende vitivinicole che vogliano approdare sul mercato asiatico.

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L’abbiamo intervistato.

Leggendo il libro di Sergio Nava Fuga dei talenti (San Paolo) si scopre che lei prova un amore profondo per i cinesi e il loro Paese. Ne parla con entusiasmo. Ma i cinesi sono davvero pirotecnici, brillanti, espansivi e soprattutto, ottimisti?

Questi aggettivi non si addicono proprio al cinese medio. Un napoletano o un levantino sanno essere pirotecnici e brillanti. I cinesi, invece, di solito sono più calibrati, ponderati, attendisti. Per secoli sono stati istruiti a non andare oltre alle righe, a salvare la faccia, come si dice da queste parti (mianzi). Dunque, è difficile trovare un cinese scoppiettante, a meno che non lo conosci bene o quando beve qualche bottiglia di Qingdao o di Maotai (il distillato cinese per eccellenza). In compenso, sì, dopo secoli di umiliazioni e depressione, ora i cinesi sono ottimisti come non mai. Il prodotto interno lordo del Paese è cresciuto in media di nove punti annui nell’ultimo decennio. Dunque, ogni abitante si sveglia, confidando nel fatto che domani sarà meglio di oggi.

Da cosa deriva questo stato d’animo? Ed è vero che i cinesi sono tanto curiosi che per strada ti toccano la barba per vedere com’è? Perché loro non ce l’hanno!

I cinesi non hanno quasi peluria. Hanno una pelle iperdelicata. D’estate le donne usano l’ombrello per difendersi dai raggi del sole e in inverno indossano la mascherina sul volto per ripararsi dal freddo. Dunque, sono attirati da qualcuno che abbia caratteristiche diverse. I cinesi sono per natura curiosi, attratti dal diverso.

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Sono in genere molto silenziosi, discreti e settari. Come si concilia la loro curiosità con queste caratteristiche?

La loro attitudine alla compostezza deriva dal confucianesimo e dalla sua nota dottrina di armonia nei rapporti umani fondamentali, per cui il sottoposto deve portare rispetto al superiore, il figlio al padre, la moglie al marito, il fratello minore al fratello maggiore, l’amico agli amici. La summa confuciana è quella cosiddetta del “costante mezzo”, per cui è meglio tenere sempre una posizione media tra collera ed euforia, tra scoramento ed entusiasmo, tra cupidigia e sciattezza.

Come accolgono gli italiani?

Gli italiani sono accolti con grande simpatia. In quanto, in fondo, non del tutto dissimili da loro. Entrambi i popoli hanno uno spiccato senso per tutto ciò che è curioso, amano affrontare i problemi davanti a un buon piatto fumante o a una bevanda alcolica, hanno il culto della famiglia, e condividono un retaggio culturale plurimillenario. Tutti elementi che nel vasto panorama geopolitco mondiale, per lo più, solo Cina e Italia possono vantare.

Che aria si respira a Pechino? E lei dove vive?

Io vivo a Shanghai, nella zona centrale della città, a un tiro di schioppo dal tempio buddista Jing An, sulla trafficata arteria di Najing West Road, il salotto-bene della metropoli.

E’ facile trovare lavoro e in quali settori? Per esempio, un giornalista italiano riesce ad inserirsi facilmente, perché?

Per un giornalista italiano trovare lavoro in Cina è praticamente impossibile, a meno che sia inviato direttamente da una redazione italiana.

Perché?

Per il fatto che i media italiani percepiscono ancora la quotidianità da queste parti come un qualcosa di molto lontano. Tanti lettori italiani non saprebbero nemmeno situare Shanghai su una piantina geografica, figuriamoci città come Chongqing, Shenzhen, o Shenyang, tutte metropoli che hanno almeno cinque volte la popolazione di Roma.

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In genere come si muovono i cinesi?

I cinesi abbienti delle grandi città si muovono per lo più in taxi (le auto gialle sono molto a buon mercato, a differenza che in Italia), oppure in bicicletta e in motorino elettrico (per i motorini a scoppio le tasse sono molto alte, le municipalità infatti scoraggiano l’uso di mezzi privati inquinanti). Non aspettatevi di vedere i risciò, perchè da anni sono ormai scomparsi dalle città del Regno di Mezzo.

Quali le città da vedere, i posti particolari  e quali quelli in cui non è molto prudente andare?

Una premessa: la Cina è un continente, e uno scrigno con quasi seimila anni di storia, le cui tracce a volte sono da ricercare con il lumicino, perché il grande Balzo in avanti di Mao prima, e il modernismo poi, hanno cancellato o segregato tante meraviglie e vestigia antiche in luoghi appartati o non proprio semplici da rilevare. Detto questo, il “grand tour” classico cinese prevede Pechino, Xi’an, Shanghai, con le vicine Suzhou e Huangzhou, Guilin, e le regioni del sud ovest, come il Sichuan e lo Yunnan, paradisi naturali ancora poco contaminati dalla frenesia palazzinara di certe speculazioni.

Ha visto il Tibet?

Mai, purtroppo. Fino a poco fa era abbastanza difficile andare. Ci voleva un visto supplementare, oltre a quello necessario per varcare i confini del Paese. Un giornalista poi in Cina è soggetto ad ulteriori verifiche che a volte è meglio non stare a risvegliare.

Oltre a Pechino, dove consiglia di vivere?

Io, come accennavo, vivo a Shanghai, ma confesso che sono innamorato di Pechino, dove ho vissuto solo pochi mesi, ma il giusto necessario per fissare la città nel mio cuore. Il motivo? La città, pur di fronte agli splendori di Wangfujing Dajie e ai clamori modernisti del pre-e-post Olimpiadi ha saputo mantenere l’appeal mandarino. Per questo la metropoli associa e sintetizza in modo meraviglioso il desiderio di vita all’occidentale di noi italiani a quello di chi cerca anche qualcosa di profondo nella cultura locale. Passeggiare lungo gli hutong della città è una vera goduria dei sensi, nel bene e nel male.

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In genere, sono città tranquille, quelle cinesi? Com’è la qualità della vita?

Raramente ho sentito di expat che hanno avuto problemi in termini di sicurezza. Una ragazza, per capirci, può tranquillamente tornare a casa senza incappare in fastidi o brutte esperienze a qualsiasi ora. Certo, come in ogni grande città del mondo è sempre meglio andare in giro con gli oggetti di valore al sicuro.Si concedono svaghi i cinesi? O lavorano di continuo? Quali sono i lori valori?

I cinesi amano fare abbondanti mangiate in compagnia, giocare a dama o a majiang, allenarsi al badmington o al tavolo da ping pong, cantare al karaoke, ballare. Valori importanti per loro sono lo stare insieme in armonia, la salute fisica, il successo e, non di meno delle voci precedenti, il denaro.

La famiglia, è importante?

La famiglia è fondamentale nella società cinese. Però, il concetto di famiglia da queste parti va inteso come una entità più allargata, che a volte copre anche le amicizie più strette e le parentele più lontane. Del resto in Cina dai primi anni ‘80 vige la politica del figlio unico, e dunque la famiglia in senso stretto raramente arriva a superare i tre membri.

Come sono le donne cinesi?

La vulgata è che le donne cinesi hanno un carattere molto forte e sono particolarmente pragmatiche, sono servizievoli con il proprio uomo in pubblico, mentre comandano in casa. La realtà, è che la donna cinese oggi sta vivendo sulla propria pelle tutte le contraddizioni di una società molto legata al suo passato e che sta godendo di una ondata di libertà e benessere vertiginosi sconosciuti prima. Con tutti i vantaggi e gli svantaggi, i sogni e le delusioni, le disponibilità e i lacciuoli che queste implicano.

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Ci sono città ghetto, in cui è diffusa la povertà?

Ogni città cinese ha grandi sacche di povertà. Nemmeno Shanghai e Pechino si esimono da questa black list.

In genere le città sono care?

Dipende da come si vuole vivere: se si cerca di fare gli occidentali in Cina, i costi non sono di tanto inferiori a quelli di una piccola città italiana. Il vino costa il doppio o il triplo che nei paesi d’origine. Un caffè al bar può costare anche 30 rmb (3 euro), una cena “all’italiana” o “alla francese” possono costare anche 30-40-50 euro, a seconda del livello e della localizzazione del locale. Certo, se invece ci si adatta di tanto in tanto a mangiare jiaozi, riso alla cantonese o chaomian, i costi calano di molto.

Come sono le università?

Io ho avuto modo di studiare alla Tongji di Shanghai. I metodi di studio sono piuttosto antiquati, se comparati con quelli di altre strutture internazionali, e prevedono sistemi che prediligono lo studio mnemonico a quello del problem solving. Anche i campus non sono proprio delle boutique. Però, il governo cinese sta facendo sforzi enormi per portare le sue accademie al livello di quelle di tante altre città del mondo. In fondo è impossibile cambiare il sistema educativo di un Paese in una manciata di anni.

E la lingua. Quanto è diffuso l’inglese?

In metropoli come Pechino e Shanghai ovviamente va sempre più diffondendosi. Il settore del teaching, in particolare della lingua inglese, è uno di quelli più in fermento nelle grandi città cinesi. Essere un madrelingua inglese da queste parti vuol dire avere quanto meno un lavoro assicurato: quello di insegnante. Ciascuno cerca un tutor che gli insegni la lingua, e ciascuno sogna di avere una trading o una compagnia per vendere all’estero. E l’inglese si sa è la lingua mondiale del commercio. Ovviamente, più si va in aree remote, più non solo non si parla l’inglese, ma addirittura non è nemmeno sufficiente conoscere il mandarino standard. Lì si entra nel terreno dei dialetti e delle declinazioni locali della lingua.

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Quali sono i lati negativi della vita in Cina?

Beh, il lato più straniante per me che vengo dalla piccola provincia emiliana, è il gigantismo di ogni città. Attingendo dalla mia esperienza personale, vivo in un palazzo condominiale alto 140 metri – uno tra mille qui a Shanghai – ovvero come il palazzo più alto d’Italia. Le città più che aggregati urbani sono formicai impazziti, dove il cielo e le stelle si vedono forse, quando va bene, poche ore l’anno.

Cosa le manca dell’Italia?

Le piazze. In Cina non esiste la dimensione degli slarghi intesi come piacevole luogo di aggregazione. Le piazze cinesi o sono crocevia per il traffico, come la piazza del popolo di Shanghai, o sono talmente gigantesche che perdono il loro ruolo di elemento unificante, come nel caso di Tiananmen, dove da un lato del quadrato non si arriva a vedere i confini di quello opposto.

Cosa consiglia a chi viene a vivere in Cina?

Gli consiglio di non ghettizzarsi fin dall’inizio, facendo esclusivamente esperienze all’interno della comunità di expat. Non ha senso fare 10 mila miglia di volo per poi vivere come una caricatura di Alberto Sordi in America. Oggi le possibilità di integrarsi con i cinesi sono molteplici. Bisogna solo spogliarsi di tutti i pregiudizi, accantonare per un attimo il modo di pensare alla occidentale e lasciarsi andare a quello che riserva di giorno in giorno una vita da queste parti. All’inizio potrà sembrare difficile, ma appena si prende la mano questa esperienza può regalare grandi soddisfazioni.

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Nava scrive che a Pechino mistero e storia convivono nell’enorme Città proibita e nel Palazzo d’Estate. E’ vero?

, perché le dinastie imperiali cinesi da sempre sono quanto di più misterioso e assoluto ci possa essere nella storia di un popolo. Il sovrano, era un dio, il suddito non solo non aveva accesso alla corte, ma certi cortigiani non potevano alzare il capo per ammirarlo al suo passaggio. Le stanze reali, alcuni passaggi, addirittura alcuni portali, erano riservati solo all’imperatore e all’imperatrice. Ancora oggi, anche se in chiave moderna, certe attitudini e certi privilegi sono passati dalla corte imperiale ai palazzi del potere e agli uffici più in voga dei grattacieli di Pudong e di Hong Kong. Sempre fedele ai dettami confuciani, il cinese moderno venera i nuovi imperatori come gli idoli di un tempo.

claudio.grillenzoni@gmail.com

Intervista a cura di Cinzia Ficco