Così è tornata in Italia e, zaino in spalla, ha girato a piedi il suo Paese di origine, insieme ad una scatola, nella quale ha raccolto i sogni della gente incontrata per strada. Un viaggio indimenticabile raccontato nel suo libro “Walkabout”.

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Darinka, ad un certo punto della tua vita hai deciso di mollare il tuo lavoro e di girare l’Italia a piedi. Da cosa è nata questa esigenza?

Per diverse ragioni ho deciso di mollare il lavoro che avevo all’epoca per girare l’Italia a piedi. In sette mesi di cammino ho percorso 2.910 km. Mi sono laureata in fotografia a Londra nel 2004, poi da lì ho iniziato a viaggiare per il mondo, lavorando in diversi settori: volontaria in Asia, insegnante di lingua inglese per i bambini delle scuole elementari sempre in Asia, spogliarellista in Nuova Zelanda, barista in bikini nelle miniere dell’Australia, ho aperto un ristorante in Lao. Ho svolto davvero tantissimi lavori. Poi sono tornata a Londra e ho cominciato a lavorare come massaggiatrice di teste dei giocatori di poker. In quel periodo stavo insieme ad un cantautore irlandese, di cui ero innamoratissima. Mi chiese di sposarlo, ma dopo un mese mi lasciò. Così mi ritrovai a Londra, sola, a svolgere un lavoro che non volevo fare. Tutto questo mi mandò in crisi. Ho continuato a lavorare per inerzia per due mesi, un periodo terribile in cui sono entrata in un brutto giro di alcol e droga. Poi un giorno, mentre massaggiavo un giocatore di poker, ho cominciato a sentirmi male, molto male e, guardandomi intorno, ho notato la mancanza degli orologi. Un’assenza voluta per far perdere la cognizione del tempo ai giocatori. In quel preciso istante mi sono identificata in quei giocatori ed ho iniziato a vedere la mia vita scorrermi davanti, senza più cognizione del tempo. In quel periodo per andare a lavoro, usavo un paio di scarpe sulla cui suola c’era scritto “Go walk”. Così ho deciso di seguire il messaggio. Tornando a casa, mi è venuta in mente questa frase: “A 75 anni non si perde tempo a fare cose che non piace fare”, e ho pensato di non aspettare altri 30 anni, prima di giungere alla stessa conclusione. Ho pensato a quelli che erano i miei sogni messi da parte: viaggiare, scrivere, fotografare e sognare. Ho deciso di combinare tutte queste idee in un progetto unico. Tornare a casa, viaggiare in Italia, nel modo più lento possibile, scrivendo e fotografando le diverse tappe. E raccogliendo i sogni di coloro che incontravo lungo la strada. Sono partita con una scatola, con un orecchio sopra e chiedevo alle persone che incontravo per strada quali fossero i loro sogni. Sono partita senza un euro in tasca, chiedendo ospitalità a chiunque. Ho utilizzato molto i social network per ottenere accoglienza. Nel corso del viaggio ho conosciuto tante persone che mi hanno aiutata, mi hanno offerto ospitalità e cibo. Per la strada ho imparato anche tante tecniche per approcciarmi con successo alle persone.

Da questo bellissimo viaggio è nato il tuo libro “Walkabout”. Ce ne parli?

Nel libro racconto passo dopo passo i mesi di cammino, inserendo all’interno di ogni capitolo un sogno raccolto per strada. Ho inserito anche alcune foto che ho scattato a persone e ambienti. Il viaggio si divide quasi in due segmenti. Da Palermo a Roma ho concentrato la mia attenzione sulle persone, poi satura di queste emozioni, ho iniziato a cambiare il modo di viaggiare. Sentivo di non poter più dare tanto né di sortire più effetti. Così ho iniziato un percorso di silenzio, per settimane non ho parlato con nessuno e chiedevo ospitalità in strutture ecclesiastiche. “Walkabout” è il mio primo libro, l’ho presentato il 13 maggio a Torino e sta andando benissimo. Lo sto promuovendo attraverso il mio viaggio in Italia, sulla mia bici di bambù. Ci sono molte presentazioni a cui partecipo. Il libro fa parte di una collana di racconti dedicati ai cammini ed è già andato in ristampa. Infatti, le 1.200 copie della prima stampa sono già terminate.

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Viaggi su una bici in bambù?

Sì! Ho una bici in bambù costruita in un laboratorio artigianale di Savona. Ha la pedalata a spinta, quindi è elettrica, perché mi porto dietro un carretto, nel quale ci porto una sessantina di libri per volta.

In che modo riesci a sostenerti?

In questo viaggio con i libri, proprio attraverso la vendita degli stessi, riesco ad avere a mia disposizione un po’ di soldi che mi permettono di vivere alla giornata. Il mio progetto però è quello di fermarmi in un posto tranquillo da dicembre fino a marzo, mesi durante i quali potrei scrivere un altro libro o focalizzarmi sul prossimo progetto. Quindi sto mettendo alcuni soldi da parte per sostenermi durante quei mesi.

Ad oggi quali città hai visitato? E quale tra queste ti è rimasta nel cuore?

Dalla Sicilia al Piemonte, ho visitato quasi tutta l’Italia. Quest’anno poi a bordo della bici riesco a visitare più luoghi, perché sono più veloce. Sono tante le città che mi sono rimaste nel cuore. Tuttavia fra le tante, Palermo e Napoli. Però è pur vero che ogni esperienza si basa sulle persone più che sui luoghi. Infatti, se dovessi pensare a questo, mi viene in mente un paesino bruttissimo sulla costa ionica della Calabria, dove ho conosciuto una persona talmente speciale che ha reso il luogo uno tra i più importanti.

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Com’è stata accolta questa decisione dalla tua famiglia?

Male. Non erano abituati ad avermi in Italia. Quindi quando sono venuti a prendermi a Malpensa ed hanno saputo che sarei ripartita di nuovo per attraversare tutta l’Italia, non l’hanno presa bene. Hanno iniziato a cambiare discorso. Poi quando hanno visto che prima di partire ho trascorso un mese informandomi sul tipo di scarpe, su tutti quelli che erano i passaggi da fare e soprattutto, che ero determinata a portare avanti il mio progetto, hanno capito e mi hanno lasciata andare con l’animo più sereno. Prima di partire ho anche incontrato un camminatore esperto che mi ha spronata ad imbarcarmi in quest’avventura e a cui ho chiesto tutte le informazioni possibili. Questa esperienza ha migliorato di molto anche il rapporto con mia madre. Prima infatti io e lei non avevamo un bel rapporto, poi lei, proprio attraverso questo viaggio e leggendo il mio libro, ha imparato a conoscermi. Molte barriere sono state sfondate e ci siamo avvicinate molto di più.

Cosa significa per te viaggiare?

Adattarsi, arrivare nelle città con umiltà, senza giudicare mai nulla, ma cercando di comprendere il perché di ogni comportamento.

Cosa vorresti trasmettere attraverso questo tuo viaggio in sella ad una bici?

Fondamentalmente un messaggio di fiducia. Quando mi capita di guardare la televisione rimango davvero sconcertata, perché soprattutto i telegiornali trasmettono un messaggio di paura. Anche io, prima di partire, avevo molta paura, però poi quando cominci a camminare per le strade e a conoscere le persone, capisci che c’è molta paranoia. Se si riesce a scavalcare questa barriera di paranoie, alla fine si riescono a conoscere meravigliose persone. Ad esempio, non potendo scegliere dove e da chi essere ospitata, mi è capitato di essere ospite di un tunisino in Puglia, ma anche di un ragazzo con la svastica tatuata sul braccio. In quest’ultimo caso, so che se avessi incontrato questo ragazzo per strada, non gli avrei nemmeno rivolto la parola. Invece, essendo ospite in casa sua, mi sono resa conto che erano più le cose che ci accomunavano, di quelle che ci separavano. Un altro messaggio fondamentale è quello del rispetto nei confronti della Natura. In giro purtroppo ho visto scempi indescrivibili. Credo che ognuno di noi, attraverso la Natura, possa comprendere la bellezza della vita e il rispetto verso gli altri e verso Dio.

Quali sono i tuoi sogni nel cassetto?

Fare il giro del mondo in bicicletta. L’anno scorso, man mano che mi stavo avvicinando a casa, mi sono fatta prendere un po’ dall’angoscia, perché il progetto stava arrivando alla fine. Questo mi ha fatto capire che mi trovo molto a mio agio per strada, infatti posso affermare che la mia casa sia proprio la strada. Quando sono stata in Calabria, mi hanno parlato del braciere e della sua utilità. In passato veniva messo in salotto e la gente ci si sedeva intorno per scaldarsi i piedi oppure per scaldare le patate. Era il centro della vita familiare. A me piace l’idea di continuare a viaggiare, portandomi dietro un braciere virtuale in cui raccogliere storie e sogni in giro per il mondo. Dall’altro lato, c’è un forte desiderio di avere una base, un luogo in cui tornare. Quindi, in futuro mi piacerebbe comprarmi una casa in Sicilia, terra di cui mi sono perdutamente innamorata, e tornare lì dopo i miei viaggi. Qui mi immagino, mentre bevo un buon bicchiere di vino di fronte al mare.

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A cura di Nicole Cascione