Un italiano a Parigi italiani a parigi

 

Il Natale fiorentino e la braciola all’ultimo sangue

Firenze, 24 Dicembre 2009, ore 11

Via Ponte Rosso.

Lungo gli argini di un Mugnone in piena io, giovane emigrante italiano, rientrato al paesello come tante migliaia di altri emigranti per le festività, cammino pensando e riflettendo. Riflettendo e pensando. Perché riflettere fa sempre bene.

«Natale… Ah che bello il Natale a casa» – penso – «si magna, si dorme, coccolati dai genitori in crisi d’astinenza. Questi i vantaggi di essere emigranti, e figli unici, per giunta».

Ora però, se si dovesse analizzare bene quali sono le due cose che immancabilmente accadono a Natale, a parte le lucine, il panettone e i regali di Babbo Natale, si casca sempre lì, senza fallo. Uno, piove. Due, qualcuno si ammala.

Febbrine, febbriciattole, febbrone e cacaiole varie hanno sempre costellato i Natali del passato, accompagnate generalmente da un clima umido e tropicale per niente natalizio.

Ed infatti il motivo per il quale oggi passeggio a passo spedito nei pressi di Piazza della Libertà sotto l’acquerugiola natalizia è legato proprio ad uno di questi due fattori: qualcuno si è beccato la febbriciattola di Natale.

La febbriciattola natalizia, simpatica come un foruncolo sul deretano, arriva di solito il 22 o il 23 dicembre e se ne va il 27, lasciando spesso strascichi fino al 31 con ricaduta opzionale il 6 Gennaio, solo per i fedelissimi.

Quest’anno se l’è beccata la mamma.

La cosa non sarebbe poi così grave.. Un po’ di malumore, du’ tachipirine, e via..

Il fatto è che oggi è il 24 dicembre, ovvero la vigilia di Natale, giorno che precede dunque il Natale, per festeggiare la quale ci si ritrova in famiglia e si fa un bel cenone della vigilia di Natale, senza contare che il giorno dopo è Natale e dunque c’è il pranzo di Natale e se si vuole anche la cena di Natale. Se poi si tiene conto del fatto che il giorno dopo è il 26 Dicembre, ovvero il giorno dopo Natale, allora non si può non considerare il fatto che sussiste la necessità di fare un pranzo del giorno dopo Natale ed una cena del giorno dopo Natale.

Essendo la nostra una famiglia generosa e goduriosa, noi non ci facciamo sfuggire neanche il 27 che sarebbe un giorno insulso, dedicato ad una pausa lipidica e glicemica in vista del cenone del 31.

No, a noi ci piace festeggiare anche il 27, alla faccia delle diete e dei fondamentalisti islamici, tiè!!

Francamente a me tutto questo piace tanto, ma proprio tanto.

Inoltre, essendo figlio unico un po’ viziato, che per di più, poverino, viene anche apposta dalla Francia, io sono esentato tacitamente da ogni tipo di preparazione e commissione.

Ora, però, quest’anno è successa questa cosa: numero uno la mamma è malata, numero due il babbo lavora tutto il giorno all’ospedale. Maremma zozza.

In casi come questi anche l’immunità di figlio unico espatriato cade. Non c’è scusa che valga.

Neanche un’enciclica del Papa o una raccomandazione di Carlà Brunì-Sarkosì potrebbero esimermi dal più odioso e sfiancante dei compiti: fare la spesa la vigilia di Natale.

Parto da casa con la gioia nel cuore, neanche troppo indispettito perché so che il destino ha voluto riservarmi questo dolce supplizio per mettermi alla prova.

Eh già, tra qualche mese la mia posizione di figlio unico viziatello passerà in secondo piano, sostituita da quella di padre viziatore. Un passaggio di grado al quale bisogna cominciare a fare la bocca.

Il programma è il seguente:

Prima tappa: spesa all’Esselunga del Gignoro, per acquistare vari generi di conforto.

Seconda tappa: sosta dal macellaio in Piazza della Libertà per l’acquisto del Santo Cappone e lessi vari.

Tappone finale: passaggio dal panettiere di Ponte alle Riffe per la scorta di pane valevole per il periodo dal 24 al 27 dicembre compreso, dato che quest’ultimo, quest’anno cade di Domenica.

Si comincia con l’Esselunga, che fortunatamente, penso, è dotata di ampio e confortevole parcheggio sotterraneo.

Bisogna sapere però che oggi è il 24 dicembre e che per contenere tutte le macchine di famiglie e famigliole che si sono ridotte a fare la spesa alla vigilia delle festività, non basterebbe neanche il parcheggio dell’aeroporto di Memphis.

Così la coda per entrare nel parcheggio inizia quasi dal lungarno, rallentata dal fatto che le macchine, troppo cariche di ogni bendiddio, non riescono a salire la rampa neanche in prima.

Dopo aver eliminato all’arma bianca tre pretendenti ed aver commosso il quarto fingendo un’invalidità al 34%, riesco ad impossessarmi dell’ultimo carrello, che peraltro ha solo tre ruote.

Introdottomi furtivamente all’interno del supermercato, una scena apocalittica si para ai miei occhi. Tutta la superficie carrellabile del supermercato è occupata da stracolmi caddies impossibilitati al minimo movimento.

Gli acquirenti più abili riescono ad accaparrarsi gli ultimi panettoni balzando di carrello in carrello e calpestando con noncuranza la spesa altrui all’interno degli stessi.

Reparti dei corpi speciali antisommossa sono stati ingaggiati e stanziati dal direttore dell’Esselunga nei pressi delle casse per prevenire ed eventualmente reprimere tafferugli tra gli acquirenti.

La protezione civile ha allestito una tendopoli in miniatura nei pressi del reparto merendine ciocco-snack, per accogliere gli anziani e i bambini dispersi o abbandonati.

Una famiglia di peruviani bloccata da giorni nel supermercato, presa dalla disperazione, ha scelto di trascorrere le festività al bancone pescheria allestendo un enorme spiedino di gamberi e calamari del Magadascar.

Decido allora di arrampicarmi sullo scaffale delle mostarde per avere una visione d’insieme. Poi mi lancio in stile uomo ragno da un reparto all’altro, riuscendo ad arraffare i cinque o sei articoli indispensabili stilati con amore da mia mamma sulla lista della spesa.

Atterrato nei pressi di una cassa, riesco infine ad inserirmi in una delle code ed ad uscire dal luogo dell’apocalisse.

Ripresa l’autovettura, mi dirigo verso Piazza della Libertà, dal macellaio Tordi. La tappa più temuta.

Qui peraltro la fila è ragionevole. Riesco addirittura ad entrare dentro la macelleria.

Nonostante la facilità con la quale sono riuscito ad entrare, sento che intorno a me aleggia un’aria ostile e malsana.

In effetti noto con preoccupazione di essere una mosca bianca nell’ambito della clientela del macellaio; a parte me, tutti gli altri clienti sono donne ultra sessantenni impellicciate col capello cotonato la cui colorazione varia dal marrone bronzato pomello di ottone al violetto Glicine in Fiore.

Dopo l’attimo di silenzio sdegnato che ha seguito il mio ingresso, come a dire «ma che vuole questo qui», e qualche sguardo tra il perplesso e lo schifato delle altre clienti rivolto alla mia inopportuna presenza, le simpatiche signore riprendono la sfilza delle loro richieste allo stremato macellaio.

Lo chiamano tutte per nome come a farmi notare che tra loro e il macellaio c’è una grande confidenza ed un rapporto di fiducia che dura da anni, mentre io sono solo una merdaccia:

«Allora Adriano, mi raccomando, la bistecchina la voglio morbida, come quella dell’altro giorno, e poi toglimi i nervetti che Igor ieri l’altro l’ha risputacchiata nella scodella».

Un dubbio atroce mi passa per la testa:

«Ma Igor sarà il marito o il cane?».

Nel frattempo due nuovi personaggi entrano nella macelleria: uno è un signore filippino e l’altra l’ennesima signora impellicciata.

Tutti e due entrano parlando al cellulare.

Cerco di concentrarmi per cogliere all’unisono le due conversazioni che si sovrappongono a volume di voce smodato.

Il filippino sta parlando con la sua padrona. Quest’ultima ha evidentemente escogitato un’abile stratagemma per fare la spesa natalizia comodamente seduta sulla poltrona del suo appartamento di via Masaccio.

Il signore filippino segue dunque le istruzioni della “signola”, ripetendo ad alta voce ogni passaggio in un idioma a metà tra il dialetto di Manila e l’accento di San Mauro a Signa:

«Signola, un si pleoccupi. Sto facendo come m’ha detto lei. Fo la coda contepolaneamente qui da ì macellaio Toldi, dal pizzicagnolo Galanti e dal panettiele…

No, no un si pleoccupi che un mi dimentico nulla, ho tutto annotato sul taccuino che mi ha plepalato Malia Clistina.

Come?… Celto che so leggele signola, un sò mica analfabeta. Sò lauleato in Ingenielia alla facoltà di Diliman…».

Nel frattempo la signora impellicciata mi si è piazzata a un centimetro dalla schiena e sta continuando la sua conversazione telefonica con la nuora, parlando di proposito a voce alta perché gli altri clienti che la precedono possano sentirla:

«Nini, guarda, sono arrivata ora dal Tordi, ma c’è una coda che non ti dico… È tutta la mattina che giro e non mi sento più i ginocchi.. Eh sì, sarà l’artrite, me l’ha detto anche il dottor Biagioni che non devo fare sforzi, ma come si fa..la vigilia di natale.. il tacchino dovevo passare a prenderlo oggi, che l‘ho ordinato da tre settimane… Ma ora vedo di spicciarmi».

Dopo quest’ultima frase la malefica cariatide compie un rapido movimento sulla destra e, dopo avermi lanciato uno sguardo malefico di sguincio, mi affianca quatta quatta, approfittando di una coda già peraltro molto scomposta.

Colto di sorpresa mi ritrovo a pensare con nostalgia alle lunghe e compostissime code parigine, dove ognuno mantiene la sua posizione con marziale rigore.

Poi mi rendo conto dell’astuta ed elaboratissima tattica che l’arpia sta mettendo in opera solo ed unicamente per cercare di passarmi avanti.

Comincia ad armeggiare con la borsa mentre con nonchalance effettua dei minuscoli passetti in avanti, sempre lanciandomi gelide occhiate. Poi estrae una lunga lista dalla borsa e si rivolge al figlio del macellaio che sta servendo un’altra signora:

«Senti Franci, intanto tantissimi auguri di buon natale, poi ti volevo chiedere, ma il tacchino ripieno è pronto? Perché poi dopo mi devi preparare le bracioline di vitella battute e il macinato per il polpettone…»

L’ha addirittura chiamato Franci.

Evidentemente il figlio del macellaio si chiama Francesco come me. Non mi lascio sfuggire l’ennesimo messaggio di guerra; un insopportabile atto di prevaricazione, retaggio dell’italica cultura clientelare, subdolo avvertimento mafioso il cui contenuto mi appare evidente:

«Stai attento ciccio, io qui dentro sono più importante di te e ti passo avanti quando e come voglio…».

Nel frattempo il mio turno si sta avvicinando.

Il tutto è ancora rallentato da qualche esitazione della signora che mi precede, la quale ha fatto preparare un pollo in galantina credendo che fosse un coniglio da fare arrosto.

La signora mafiosa intanto ha già poggiato i gomiti sul bancone, srotolando la sua lista della spesa chilometrica.

Decido che non c’è scelta: anche se sono sempre stato contrario all’utilizzo di questi mezzi, realizzo che è giunto il momento di avvalermi dell’arma non convenzionale, da sempre tenuta nel cassetto.

Finito con l’ultima cliente il macellaio Tordi pone dunque la fatidica domanda:

«Allora a chi sta?»

La mafiosa impellicciata mi lancia un ultimo sguardo di sfida e poi dice:

«Si, Adriano sta a me vero? Allora…»

La interrompo bruscamente guardandola con occhi di brace: «No guardi signora, si sbaglia, sta a me…»

Poi la ignoro completamente e mi rivolgo al macellaio:

«Buongiorno Signor Tordi, sono il figlio del dottor Berti. Dovevo ritirare il Cappone e il lesso…».

La signora mi guarda sbigottita, impietrita come una cariatide.

Ora, per inciso, si dà il caso che Adriano Tordi, professione macellaio, abbia qualche problemino di cuore e mio babbo sia il suo cardiologo di fiducia, da anni. Tié!

«Ah, ma te sei Francesco» – risponde il Tordi – «il figliolo del Dottor Berti! Potevi dirlo subito… Madonna come sei cresciuto! Allora come va a Parigi? Il babbo come sta? E la Mamma? Patriziaaa, c’è il figliolo del Dottor Berti, vieni a salutarlo, porta il cappone e il lesso… Abbi pazienza Francesco, arriva subito».

Intanto la mafiosa impellicciata guarda intontita la scena, mentre il suo corpo si riduce, la sua schiena si ingobbisce e la sua pelle si avvizzisce progressivamente, fino a farle assumere l’aspetto di una prugna avvizzita.

Dopo trenta secondi la moglie del Tordi arriva col pacchetto: «Allora Francesco, qui c’è tutto e abbiamo anche messo un pensierino per il babbo e la mamma. Fai tanti auguri di Buon Natale a tutti».

Dopo aver stretto la mano a tutta la famiglia Tordi al completo, esco un po’ impettito dalla macelleria, senza dimenticare di lanciare uno sguardo di indulgente compassione alla prugna mafiosa.

L’ultima tappa della via crucis natalizia mi attende dal panettiere.

Mi dirigo verso la macchina pensando e riflettendo, riflettendo e pensando. Perché riflettere fa sempre bene…

«Avrò sbagliato? Usando l’arma letale, il lato oscuro della forza, sono entrato anch’io nel vortice della mentalità clientelare della nostra Italietta? E se fossi stato il figlio di Licio Gelli cosa avrei potuto ottenere?

Il tribunale della mia coscienza mi concederà le attenuanti di legittima difesa? Credo di sì».

Bah! Ai posteri l’ardua sentenza… Intanto godiamoci questa serie di pranzi e cene in famiglia che ancora una volta l’Italico Natale ci offre.

Francesco Berti

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