“Salviamo l’Italia”: il nuovo libro dello storico Paul Ginsborg

“Insomma  siate uomini e non cicale e i vostri paesani vi benediranno, e lo straniero ripiglierà  modestia e parlerà di voi coll’antico rispetto”.  Una frase datata, ma oggi utile per spronare gli italiani a recuperare il loro ruolo in Europa e nel mondo e a fare in modo che mai più si pensi al Belpaese solo come alla terra dei maccheroni e degli sciupafemmine. La pronunciava Berchet nell’Ottocento nei confronti dei suoi colleghi letterati italiani e la riprende Paul Ginsborg nel suo libro Salviamo l’Italia ( Einaudi), in cui lo storico e docente di storia presso l’Università di Firenze, invita i suoi connazionali a riguadagnare rispetto all’estero. Perché oggi, come ai tempi di Berchet, in pieno Risorgimento, “l’Italia e gli Italiani non devono più essere acqua stagnante, la periferia della cultura europea”.

Salviamo l'Italia storico

“In Italia – scrive Ginsborg, inglese, ma cittadino italiano dall’anno scorso- oggi il tema del declino  e della decadenza è presente nel dibattito pubblico in forma altrettanto penetrante. Esistono  molte coincidenze con i primi anni del XIX secolo, soprattutto quanto alla decadenza dei costumi. Ma esistono anche importanti differenze. Una è la sensazione  attuale di declino cosmico, nel senso di un mondo invecchiato a rischio di imminente  distruzione. Si tratta di un’ansia molto contemporanea, ben lungi  dalle preoccupazioni delle generazioni del Risorgimento. Un’altra differenza riguarda il declino economico, che è un’ossessione contemporanea. Una terza differenza riguarda la questione religiosa, così come presente nell’aspra critica mossa dal Risorgimento alla Chiesa cattolica, ma quasi assente nella critica odierna. Complessivamente, esiste oggi un senso di insoddisfazione profondo quanto quello di duecento anni fa e forse più insidioso, poiché apparentemente induce passività più che protesta”.

E perché c’è tanta rassegnazione, a volte indifferenza da parte della maggior parte degli italiani? Certo, c’è il cosiddetto ceto medio riflessivo, su cui poggiano le speranze del Belpaese. Ma gli altri? Perché manca il desiderio di ribellarsi? Interessante la disamina dell’autore.

Ginsborg osserva le famiglie italiane e dice: “Hanno molte virtù – la vicinanza emotiva, le forti solidarietà tra generazioni, la capacità profondamente radicata di godersi la vita- tutte caratteristiche che chi viene dal nord individualista e più freddo invidia. Ma hanno poche virtù civiche e il modello su cui oggi si basa la vita famigliare, quello del mercato globale, non contribuisce a rendere le famiglie italiane più consapevoli delle loro responsabilità complessive”. In tutto questo i meccanismi di trasmissione della cultura moderna hanno un ruolo cruciale. E come funzionano? La televisione, come è noto, è lo strumento culturale predominante  in circa l’80 per cento della case italiane. Non è un mezzo, bensì un soggetto, il più potente protagonista culturale della scena contemporanea”. Ma è una tv che seduce e anestetizza, e che non incoraggia “ad altri pensieri e a più vaste intenzioni”, per dirla con Berchet.

E la preparazione degli italiani? Secondo il docente, la storia d’Italia è stata caratterizzata da un pluralismo e da un progresso reali.  E sebbene la pubblica istruzione  lasci molto a desiderare, l’Italia repubblicana, nei suoi più di sessant’anni di storia, è stata in grado di creare cerchie sempre più ampie di cittadini dotati di istruzione superiore. Eppure la Repubblica non è rispettata e le sue istituzioni non sono amate. E’ nel vivere lo Stato che le nuove esperienze divergono da quelle del primo XIX secolo.   I patrioti ottocenteschi avevano un forte senso di identità nazionale, intesa come unità geografica, linguistica e culturale, ma non avevano uno Stato. Oggi l’Italia ha uno stato,  ma scarso senso della nazione. Nel caso italiano il senso di identità nazionale è stato profondamente minato  da uno Stato che si è rivelato spesso inadempiente, dotato di leggi complesse e incerte, di una pubblica amministrazione zoppicante e corrotta di un sistema giudiziario dalla lentezza esasperante!”

Dunque, si chiede in questo libro l’autore: l’Italia si può salvare? Da cosa e chi la potrà salvare? La nostra nazione sta per celebrare i suoi 150 anni. E’ un buon esercizio guardare ai problemi di oggi- e al ruolo dell’Italia nel mondo moderno- non solo attraverso i nostri occhi , ma anche con quelli degli uomini e delle donne che la fecero. Ed è guardando a quello che hanno costruito i Cattaneo, i Cavour, i Garibaldi , i Mazzini, i Pisacane, i Manin, che l’Italia può rimontare.

Per salvare l’Italia Ginsborg  propone di affidarsi ad alcuni aspetti fragili ma costanti, presenti nel nostro passato, soprattutto: l’esperienza dell’autogoverno urbano, l’europeismo, le aspirazioni egualitarie e l’ideale della mitezza, decantato da Bobbio. Sì, la mitezza, che caratterizzò alcuni personaggi risorgimentali. Scriveva il filosofo e politologo torinese che la mitezza  è “una qualità che senza dubbio sposa la non violenza, ma è più complessa e più estesa allo stesso tempo.  Diversa dalla sottomissione, è una virtù debole, non forte, cioè che non appartiene a chi esercita il potere, ma agli umiliati, e gli offesi, i sudditi che non saranno mai sovrani, ed è una virtù sociale, prossima sia alla modestia sia all’umiltà, ma è più ambiziosa di entrambe, in quanto nelle sue espressioni quotidiane preconizza un modo diverso e migliore , che ancora non esiste e forse mai esisterà”.

Ma, in sintesi, contro cosa l’Italia deve combattere? Nel capitolo terzo Ginsborg individua quattro grandi pericoli da cui l’Italia moderna deve essere tutelata: una Chiesa troppo forte  in uno Stato troppo debole, l’ubiquità del clientelismo, la ricorrenza della forma dittatura e infine la povertà delle sinistre. I primi due sono di carattere strutturale e di lungo termine, gli altri due più immediati, di carattere  congiunturale, individuale e politico.

Ginsborg invita i suoi concittadini a non arrendersi e indica una via. Quella delle cosiddette riforme mobili, che portano le persone a interessarsi alla politica, ad autoorganizzarsi, a prendere parte al processo riformatore. “In questo schema – scrive- gli individui  non sono solo i destinatari passivi delle politiche che discendono dall’alto, ma diventano rapidamente cittadini attivi, critici e dissenzienti. Tali riforme secondo Ginsborg possono essere applicate  a molte sfere diverse- all’ambiente con la raccolta differenziata, il risparmio  energetico, e altre misure che partono dalle famiglie stesse, alle politiche partecipative con la creazione di veri forum dei cittadini  (non quelli fasulli della consultazione).

Ma l’Italia ce la farà? Affidiamoci a Byron, che Ginsborg riporta, quando dice “Esistono ancora tra loro degli spiriti vivaci”.

A cura di Cinzia Ficco