Il libro è un tenero ma fermo viatico di un uomo che, a cinquant’anni, consegna le sue riflessioni ai giovani di oggi che saranno, comunque, gli italiani di domani. Il merito, grande, di Severgnini, è quello di avere evitato l’autobiografia e il tono pedante di chi da consigli dall’alto e, soprattutto, da un altrove dorato.

beppe severgnini

Un libro lucido e ironico in cui l’ironia riacquista tutto il suo significato etimologico di lente attraverso cui leggere il presente, senza nascondersi le storture, ma anche senza impantanarsi in sterili peana da vecchi soloni per cui “si stava meglio ai nostri tempi.” Per questo ci piace cominciare da una citazione messa a metà libro e che richiama la voce profetica di T.S Eliot secondo il quale: “Il mondo finirà in questo modo: non con il fragore di un’esplosione ma con un fastidioso piagnisteo.” Frase che sembra riassumere una componente profonda dell’indole di noi italiani che può definirsi accidia. E l’accidia, come dice l’autore “è uno dei sette peccati capitali: il più trascurato, al punto da averne scordato il significato. È una forma di pigrizia spirituale. Un’indolenza di cui ci si compiace. L’accidioso si lascia andare: ha trovato la propria inerzia nella lamentela.” Non posso nascondere di avere fatto un salto sulla sedia leggendo questa frase e riascoltando in essa l’eco di molti piagnistei e fastidiose lamentazioni di chi scambia il malcontento, proprio e altrui, per un teatro su cui esibirsi in cerca di un consenso basato sul luogo comune.

Severgnini evita molto intelligentemente la banalità del disagio di vivere in Italia, soprattutto per i giovani, e delinea una sorta di sentiero in cui, al posto di sassolini per non perdere la strada, ci sono otto parole che suggeriscono come protagonisti del cambiamento debbano essere le teste, dovunque esse siano o saranno. Le parole, casualmente o no non sappiamo, cominciano tutte per T perché, come dice l’autore, sembrano rifarsi (coincidenza fonetica?) ad un Treno in Transito (altre T): talento, tenacia, tempismo, tolleranza, totem, tenerezza, terra, testa. Parole che, anche ad un primo sommario ascolto, sollecitano una sorta di responsabilità personale, un invito al cambiamento da considerarsi come fisiologico oltre che come opportunità: e quando si ha vent’anni al cambiamento non si può e non si deve resistere. Riecheggiando un po’ il “siate affamati, siate folli” Severgnini dietro, o a fianco, di queste otto parole suggerisce otto amichevoli pacche sulle spalle per non piangersi addosso e che suonano più o meno come “siate pazienti, siate pronti, siate elastici, siate leali, siate aperti…” e molto altro.

Beppe Severgnini

L’Italia, ci dice Severgnini, deve necessariamente guardare avanti, e questo sguardo al futuro pesa, anche per necessità anagrafica, sui ragazzi che molto possono e devono fare, anche nonostante gli errori e gli egoismi della nostra generazione. Anche andando all’estero, dice Severgnini, ma sempre conservando un pezzo d’Italia dentro di loro, un “tatuaggio segreto” come lo chiama lui. Perché, come minimo, i confini sono quanto meno europei, e l’Europa esiste ed è una realtà vicina e lontana al contempo. Come dice giustamente l’autore, Budapest o Zurigo non sono uguali a Milano, ma sono molto più uguali a Milano di quanto non lo sia qualunque città americana, per esempio. Quindi non dovrebbe esserci nessuna paura ma neanche nessuna tentazione di sentirsi eroi o vittime per il fatto di essere andati a lavorare all’estero, in qualche paese europeo. E qui arrivano interessantissime considerazioni sulla mentalità italiana di alcuni ragazzi e di molti genitori che sembrano terrorizzati dall’idea di allontanarsi dai propri figli: il regalo più grande che un genitore possa fare al proprio figlio, dice l’autore, è allontanarlo.

Tutto bene allora, il futuro è roseo e senza nubi? Severgnini è troppo intelligente e troppo attento osservatore per non sapere quali e quanti problemi vi siano nel nostro paese; problemi culturali e di mentalità, problemi che nascono dalla troppa indulgenza con cui si accolgono e accettano vischiose storture e italiche furbizie. Ma questo “clima” lo abbiamo creato noi, ciascuno di noi con le sue anche piccole complicità. Ai ragazzi spetta un compito difficilissimo ma da cui può davvero cominciare qualcosa di nuovo; ai ragazzi spetta di andare dai propri padri e dire: “Questo è sbagliato. Così non si fa.” Perché, come suggerisce l’autore, “dietro le otto porte non c’è necessariamente il successo. Ma di sicuro c’è una vita – e un’Italia – migliore”.

A cura di Geraldine Meyer

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Italiani di domani. 8 porte sul futuro beppe severgnini