Un libro che non nasconde la gravità della situazione in cui ci troviamo e che, con semplicità e un linguaggio assolutamente chiaro, ci mostra cosa stiamo facendo per violentare questo pianeta e cosa si può e si deve fare per far sì che il cambiamento ci trovi protagonisti e non soggetti passivi di qualcosa di ineluttabile. È fondamentale capire che dipende da noi, dai nostri gesti piccoli e grandi, da assunzioni di responsabilità e non continue deleghe ad un potere politico sempre più teso al solo interesse personale e personale tornaconto economico. Un libro di consigli ma anche di denuncia in qualche modo, un invito, l’ennesimo, a tornare al buon vecchio buon senso, alla sobrietà di vita che non è una vita povera, al recupero di antichi valori e comportamenti, a un recupero di tempi e modi che sanno di vecchio nel senso più nobile e rivoluzionario del termine. Non un ritorno ai tempi bui pre-tecnologici ma un recupero di un rapporto sano e intelligente con la tecnologia stessa: che deve essere un aiuto e non un tiranno. Consumi, ecocompatibilità, risparmio energetico, rispetto per il naturale mutare delle stagioni e ridimensionamento di una deleteria convinzione che tutto sia antropocentrico. Prepariamoci prima di trovarci ad accendere una luce e scoprire che siamo al buio. Ne parliamo con l’autore, meteorologo ma non solo, che ci ha risposto con molta disponibilità e desiderio di condividere le sue considerazioni.

Prepariamoci, il libri di Luca Mercalli

Prepariamoci è un bel titolo, a partire dalla prima persona plurale che suggerisce una chiamata alla responsabilità comune. Lei scrive che non significa ripiombare di proposito nel buio del passato ma evitare che la troppa luce si spenga senza preavviso. Eppure di preavvisi ne abbiamo avuti, e continuiamo ad averne, tanti. Ci dobbiamo dunque preparare all’inevitabile?

E’ vero che rispetto a ciò che Aurelio Peccei diceva con ben maggior autorevolezza di me nel 1972, abbiamo perso molto, troppo tempo. Indifferenza, superficialità, incredulità hanno lavorato per screditare gli avvertimenti relativi ai limiti delle risorse terrestri, all’aumento della popolazione e degli squilibri ambientali. Il sentiero da percorrere per salvaguardare le condizioni ottimali per la nostra vita sul pianeta si è fatto ancora più stretto, ma ciò non vuol dire che non possa cominciare ora una grande mobilitazione collettiva e globale che potrebbe cambiare rapidamente il corso degli eventi. Talvolta nella storia ciò è accaduto. Dunque vale sempre la pena cercare di migliorare il migliorabile, nel frattempo preparandosi a quanto ci sarà di inevitabile, dai cambiamenti del clima all’esaurimento del petrolio facile.

Lei cita una frase di Churchill che dice: “È sbagliato non fare neanche quel poco con la scusa che non si può fare tutto.” Eppure quel poco sarebbe moltissimo. Perché non è ancora interiorizzato come una cosa “naturale”?

Sì, è un alibi diffuso. Lo sento spesso applicato alle energie rinnovabili. “Ma tanto non basteranno mai!” “Non riusciranno mai a sostituire il petrolio!”. Oggi è vero che non possono fare tutto, ma possono già coprire una significativa frazione dei nostri consumi. E allora perché non cominciare da lì, dalla percentuale facile della nostra acqua calda sanitaria che si può ottenere dai collettori solari invece che dal gas, dalla produzione energetica domestica con il fotovoltaico? Il resto verrà, come è stato per tante altre rivoluzioni tecnologiche iniziate in sordina. Centocinquant’anni fa il petrolio lo si utilizzava solo per le lampade e nessuno avrebbe detto che avrebbe sostituito i cavalli! Se però non saremo capaci di seguire l’aforisma di Churchill, la risposta cercheranno di darla antropologi, psicologi, sociologi e storici del futuro… se queste professioni avranno ancora un senso in quel futuro!

Ridurre i consumi: eppure ci sentiamo dire che per uscire da questa crisi bisogna creare le condizioni affinché i consumi tornino a crescere. Senza consumi meno posti di lavoro, meno posti di lavoro meno disponibilità al consumo. Sembra un cortocircuito.

Lo è se si mantiene questo paradigma economico e sociale. Ma visto che la crescita continua è incompatibile con le leggi fisiche, che ci governano in modo ben più ferreo di quelle economiche, forse sarebbe opportuno interrogarsi se non esiste un altro modello praticabile. E’ una questione di evoluzione culturale della specie: o ti evolvi, o perisci.

Prepariamoci, il libri di Luca Mercalli

Persone come lei, che ci parlano dei pericoli inevitabili a cui andiamo incontro se non cambiamo alcuni comportamenti, vengono spesso tacciate di catastrofismo. Eppure sembra non esserci più molto tempo per messaggi soft. Che linguaggio usare allora per inoculare il virus della consapevolezza?

Io non faccio altro che pormi come portavoce e divulgatore di argomenti che fanno parte ormai della conoscenza scientifica condivisa a livello globale. L’ultimo appello alla sobrietà nell’uso delle risorse e dell’energia l’hanno siglato 18 premi Nobel nel maggio 2011, il Memorandum di Stoccolma, ma nessuno sembra curarsene. Non sappiamo più come fare a sensibilizzare sull’urgenza di agire presto, prevalgono interessi e avidità del presente, la possibilità della catastrofe futura è rimossa, così come le lezioni chiarissime del passato. Quindi chiediamo aiuto a psicologi e sociologi, ci spieghino loro come fare…

Ho intervistato medici che si occupano di nutrigenomica, giornalisti che spendono la loro vita nella sensibilizzazione a temi quali lo spreco e la sostenibilità. Nei loro discorsi, come nel suo, è sotteso un elemento semplicissimo: il buon senso. Ma con che armi può combattere contro i poteri politici ed economici?

Non ci sono molti margini di manovra. Sicuramente la diffusione di una consapevolezza capillare tra i cittadini del mondo, aiuterebbe a spingere la grande politica a fare scelte più coraggiose, incisive e razionali rispetto all’impegno facoltativo degli individui, ma è una via lunga e dal risultato non garantito. Temo che saranno prima i fatti ad educarci, e non saranno teneri con i nostri errori.

I cambiamenti che propone lei implicano cambiamenti del nostro stesso essere cittadini e attori di questa esistenza: crede davvero che il tempo necessario a questa rivoluzione culturale sia compatibile con la china discendente che abbiamo fatto imboccare a questo pianeta?

Il tempo è poco, ma tanto vale provarci, almeno per non essere complici della rovina.

Faccio l’avvocato del diavolo: lei dice che bisogna diventare impermeabili alle sirene della pubblicità e delle apparenze sociali. E di riempire il proprio cervello con Anna Karenina e la musica di Pergolesi. Ma per stampare un libro bisogna abbattere gli alberi, tenere in piedi attività industriali; per ascoltare musica su un cd bisogna produrre quel cd con l’industria che ci sta dietro: quindi?

Io non ho certo una visione radicale, non voglio un mondo medievale né la deindustrializzazione. Vorrei un’industria dal passo leggero, che integrasse in sé un’etica ambientale e che serva a produrre ciò di cui abbiamo veramente bisogno prima che il superfluo. Converrà con me che la carta di un libro o i pochi grammi di plastica di un Cd (tra l’altro entrambi smaterializzabili in un file), sono ben poca cosa rispetto ai 2500 kg di un Suv! E converrà anche che cultura e musica non sono entità superflue per l’uomo, mentre la bruta ostentazione di potenza sì.

Prepariamoci, il libri di Luca Mercalli

Siamo tutti colpevoli per questo stato di cose e lo siamo tanto più quanto più deleghiamo solo al potere politico la responsabilità di cambiare direzione. È pur vero però che le autorità politiche di altri paesi si sono dimostrate molto più sensibili a certi argomenti. In Italia quindi c’è una complicità di politica e cultura individuale?

Sì, direi che in Italia abbiamo una gestione molto infantile dei nostri desideri, pervasi da avidità e truffe; non per niente se ne era già accorto Collodi con il suo Pinocchio, che ben incarna i nostri difetti: preferiamo un effimero paese dei balocchi a una razionale progettualità del nostro futuro. Crediamo più alle frottole irrealizzabili raccontate dal gatto e la volpe (l’albero degli zecchini d’oro nel campo dei miracoli) piuttosto che ai pacati avvertimenti del merlo bianco e del grillo parlante, i quali poi, purtroppo finiscono male!

Decrescita, economia verde, fonti rinnovabili, argomenti che affascinano così di primo acchito e poi sembrano restare lettera morta. Non ci sarà davvero bisogno di una grande paura per far passare certi concetti?

Potrebbe essere l’ultima spiaggia, ma che peccato agire sull’onda della paura che spesso fa compiere azioni inconsulte e irragionevoli, invece di utilizzare lo straordinario potenziale della conoscenza accumulata nei millenni dalla nostra civiltà. Sarebbe una sconfitta della nostra capacità di pensiero e di visione di futuro, un regresso alla vita arcaica.

Siamo arrivati ad un punto tale per cui sembra che il vero progresso sia il recupero di valori e culture antiche. Dall’homo sapiens all’homo faber. Se questo è il progresso più autentico a cui dobbiamo tendere, quello apparente a cui abbiamo assistito fino ad ora come lo possiamo chiamare?

Non direi che dobbiamo guardare indietro, ma piuttosto avanti. Dal passato dobbiamo recuperare senza dubbio valori, esperienze e conoscenza, che vanno innestati nel presente per permetterci di correggere gli errori e progettare un futuro che sia veramente frutto di un grande salto evolutivo della nostra comprensione del mondo. Sapiens e faber devono agire insieme, forse fino ad oggi hanno lavorato troppo separati.

Uso una frase della grande scrittrice Yourcenar per introdurre una metafora: lei scriveva che accumulare libri era come mettere scorte nel granaio per prepararsi a un inverno che, da più parti, sentiva arrivare. Dottor Mercalli cosa non possiamo più permetterci di non avere nei nostri granai?

Anche io sostengo che i libri sono una grande risorsa perché integrano nel tempo e nello spazio il nostro sapere sull’uomo e sulla natura. Ovviamente purché li si legga e da essi si traggano le basi per l’innovazione di domani. Ciò che non possiamo più permetterci di non avere è la consapevolezza che la Terra è un piccolo posto dell’universo e non sono stati due secoli di rivoluzione basata su petrolio e carbone a cambiarne le dimensioni e i vincoli fisici. Tocca smaltire l’ubriacatura energetica e tornare vigili per mantenere ancora per molti millenni la capacità di vivere in armonia con quell’ambiente che ci ha generati e sostenuti. Il nostro cammino non è finito qui, ma per non inciampare nei nostri stessi rifiuti e nei buchi da noi scavati, bisogna assolutamente evolvere. Se non ci chiudiamo nell’accettazione di noi stessi così come siamo, dando per scontati e immutabili tutti i nostri difetti, ma riusciamo a vedere che cambiare è possibile oltre che necessario, allora penso che faremo fare un altro grande passo alla civiltà e alla specie. Se falliremo, saranno invece altre specie a provarci.

Intervista a cura di Geraldine Meyer

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