Marco Borghesi, orafo e designer che da più di trent’anni sogna e fa sognare

 

Marco Borghesi, orafo e artigiano-designer di cinquantasette anni e fin da bambino appassionato di gioielli, dedica la sua vita all’arte e alla creazione di gioielli d’artigianato che produce con passione da quasi trent’anni. Marco è nato e vive a Verona e, nonostante qualche trasferta all’estero per lavoro o piacere, ama l’Italia, la sua città ed è simbolo di “un’imprenditorialità artistica” tutta nostrana che non ha mai rinunciato al suo sogno da sempre perseguito con dedizione.

Poliedrico imprenditore, Marco ha risposto a qualche nostra domanda e ci ha dato modo di conoscere di più del suo lavoro, dei suoi valori e, soprattutto, ci ha trasmesso l’importanza di scegliere una professione che, ancora oggi e dopo tanti anni, lo appassiona e non gli fa rimpiangere la decisione di aver scelto di inseguire il suo sogno.

Com’è nata la sua passione per l’oreficeria e l’artigianato?

Ho cominciato da molto piccolo a coltivare la mia passione, infatti, i miei primi lavori risalgono a quando avevo solo dieci anni.

Io ho sempre prodotto e disegnato gioielli per hobby e, fin da bambino, sono stato attratto e incuriosito da questi prodotti. Ho trovato poi un terreno fertile in cui crescere perché le mie passioni e abilità sono poi cresciute grazie a un ambiente famigliare molto attivo nel mondo dell’arte – nonno e zio pittore, mia madre sarta e mio padre musicista – e che ha saputo trasmettermi il valore di una vita dedicata non solo al duro lavoro ma anche alle passioni.

Senza dimenticare poi alcuni artisti e artigiani veronesi che ho avuto la fortuna di affiancare e da cui ho imparato moltissimo.

Com’è diventato orafo?

Io, basicamente, sono autodidatta. Come ho detto anche prima, ho sempre avuto modo di imparare le tecniche della lavorazione dei materiali da altri artigiani o artisti ma, in buona parte, ho imparato da solo e sperimentando.

Ho frequentato studi superiori, sono tecnico di laboratorio, e – dopo un po’ di anni a Milano per studiare all’Università – ho però capito che volevo dedicarmi attivamente alla passione che aveva caratterizzato tutta la mia vita e, dopo diversi anni, sono arrivato dove sono adesso.

A Verona ho anche frequentato per un paio d’anni una scuola di oreficeria, scuola che poi mi ha ospitato per un periodo come professore, un impiego che poi ho abbandonato perché, al di là del fatto che era su base volontaria, mi sono poi scontrato con mentalità vecchie del settore, un po’chiuse e non aperte ad idee innovative.

Qual è uno degli insegnamenti che più ha segnato il suo lavoro e che ancora segue?

Sicuramente mi è stato inoculato il germe del lavoro ben fatto e tuttora, quando realizzo un gioiello, mi piace farlo con cura e senza badare, in un certo senso, al tempo e all’energia che dovrò spenderci. Credo fermamente nel fatto che un lavoro d’artigianato per meritare di essere definito tale debba essere fatto con estrema dedizione.

Parliamo della sua azienda, L’Atelier Borghesi, quando è nata?

La mia azienda, o meglio, Atelier è nato ufficialmente nel 1984. Lavoravo già da alcuni anni come orafo ma posso dire che la data ufficiale di apertura al pubblico è questa, infatti, tra poco festeggerò i trent’anni di apertura.

Qual è lo stile che segue nella produzione dei suoi gioielli?

Il mio intento principe è quello di ornare le donne e renderle più belle di quello che già sono. Mi piace quindi pensare che i miei gioielli siano dei richiami visuali che possano essere notati ma anche goduti e fruiti da chi li indossa.

Considero quindi i gioielli come persone e non penso che debbano starsene chiusi in un cassetto ma piuttosto che debbano essere indossati con orgoglio. In secondo luogo, essendo buona parte del mio lavoro svolto su commissione, il gioiello che produco è espressione di un dialogo con il cliente per capire le sue esigenze.

Il cliente esprime una volontà ed io la interpreto a livello artigianale lasciando comunque la mia firma o impronta visibile su di esso.

Come s’inserisce il suo lavoro all’interno del mercato del gioiello?

È difficile rispondere a questa domanda perché, in un certo senso, esco un po’ da quello che è il mercato dei gioielli a livello industriale.

Definendomi come un artista-artigiano, vedo i miei prodotti piuttosto come risultati di un lavoro di design e quindi porto avanti un discorso legato alla qualità e al pezzo unico, concetto che difficilmente si coniuga con il mercato odierno dei “gioielli di massa”.

Senza voler essere troppo pessimista, potrei inoltre dire che il mercato italiano dei gioielli è un po’ una “catastrofe” perché, a mio avviso, ha investito molto sull’innovazione tecnologica ma non si è però curato di produrre oggetti davvero innovativi e che non risultino “triti e ritriti”.

Che messaggio vuole invece trasmettere con le sue creazioni?

Sarei presuntuoso se dicessi che cerco di educare i miei clienti ma, allo stesso tempo, non mi piace consegnare un prodotto che non sia realmente sintomo dei nostri tempi e un’analisi dell’oggi.

L’idea è quella di provare a mandare un messaggio con le mie creazioni, avere una funzione attiva e trasmettere la curiosità in chi entra nella mia bottega.

Quindi, cerco sempre di assecondare i clienti che hanno esigenze particolari, lasciando che loro incuriosiscano me, e – allo stesso modo – partecipo attivamente al processo di creazione di un gioiello dando spunti di evoluzione. Insomma, per me l’artigianato è sia storia sia cultura e lavoro perché i miei clienti percepiscano tutto questo quando si trovano in mano il prodotto finito.

Lavora totalmente da solo o si serve di qualche “aiutante di bottega”?

Mi sono servito spesso di aiutanti nel mio lavoro e, al momento, mi affianco a uno solo con cui sono in sintonia da più di venticinque anni. Ad ogni modo, prendo ancora attivamente parte al processo di lavorazione dei metalli o delle pietre ma per tutta la parte di rifinitura o montaggio mi servo anche di un validissimo aiutante.

Aspirazioni per il presente o futuro dell’azienda?

Parlando per il presente, vorrei che il mio lavoro fosse un po’ più immediato, ossia che non debba sempre avere troppe difficoltà a spiegare il prodotto, anche se non posso lamentarmi e sono totalmente soddisfatto. Per il futuro, vorrei lasciare il mio atelier ai miei due figli maschi che, nonostante siano ancora molto giovani, sono già piuttosto interessati al settore.

Qual è il futuro dell’artigianato italiano?

Le realtà italiana, a livello di artigianato, conta tantissime realtà piccole o medio-grandi e vanta un’antichissima tradizione che viene riconosciuta e valorizzata anche in Italia ma soprattutto all’estero.

Credo che possa esserci un futuro solo se gli italiani stessi vorranno davvero entrare in contatto con l’artigianato locale e se a queste eccellenze sarà dato un certo respiro all’interno di un mercato della grande produzione che permetterà loro di sopravvivere.

Pro e contro della sua professione?

Un pro: le tante, tantissime, soddisfazioni e fare ciò che mi piace realizzandolo con capacità e gusto, due cose che ripagano sempre. Un contro: nel mondo di oggi, il mio lavoro è diventato un impegno di presenza continua e anche solo prendersi una settimana di vacanza sembra quasi fare un torto al cliente. La vita privata è importante e alle volte sono costretto a trascurarla.

Cosa direbbe a un giovane che vuole inseguire il suo sogno come ha fatto lei più di trent’anni fa?

Gli direi che è fondamentale, in un certo senso, “andare contro corrente” e che, molto probabilmente, sarà la sua unica chance nel mondo di oggi.

Se i giovani pensano di andare all’università e trovare subito il lavoro per cui hanno studiato, spesso, si sbagliano. Si deve essere molto flessibili e cercare di non bloccarsi su quello che si ha studiato ma seguire le passioni e svolgere un lavoro che permetta di apprezzare realmente quello che si fa giorno per giorno.

Lo shop di Marco Borghesi su internet: shop.borghesi.it

A cura di Anna Scirè Calabrisotto