Qui il cielo sembra più spazioso, la luce è molto più pulita di quella grigia che, di solito, mi accompagna fino a Bologna. Mi fermo a fumare una sigaretta e l’aria mi accarezza il viso frizzante e sbarazzina. Tra poco sono nella Tuscia.

Casello di Orvieto e sento già aria di casa. Superata la fila di capannoni e distributori di Orvieto Scalo mi tuffo nella campagna. Attraverso strade fiancheggiate da paesini e alberi. Qualche tornante, trattorie, bar e alberghi. E Ischia di Castro si avvicina. Cinquecentodiciotto chilometri per scappare da Milano e arrivare qui. Pendolare nei fatti ma con la testa ormai sempre in questa parte di terra in provincia di Viterbo. Anche quando ciò che resta della mia vita materiale mi costringe a Milano.

Vivere a Milano vivere in città

A questo punto del viaggio anche le mani si rilassano sul volante e sento i muscoli del viso sciogliersi in un sorriso. Di solito arrivo a Ischia per l’ora di pranzo e il paese mi accoglie con la quiete di un borgo la domenica quando tutti sono attorno ad una tavola a mangiare. E io me lo godo come fosse tutto mio. Milano non è lontana, Milano non esiste proprio più a quel punto. Ogni volta la chiudo in una mano e, arrivata qui, la getto fuori dal finestrino. E comincio a vivere in paese, comincio a vivere il paese.

Sono più di tre anni che frequento questo posto meraviglioso. Tre giorni qui, quattro a Milano. Due modi di vivere opposti. E io in bilico su una schizofrenia esistenziale che mi carica di umanità quando arrivo a Ischia e mi appesantisce di stanchezza quando torno nel malinconico grigio della metropoli. Cosa vuol dire vivere in città. Cosa vuol dire vivere in un piccolo paese? La prima cosa che mi viene da rispondere è: “Vivere in un piccolo paese vuol dire riscoprire il valore dei riti, dei simboli.” Calarsi in un tempo lento, dilatato, in cui gli sguardi e le parole ritrovano strade più umane, meno intasate di noncuranza e indifferenza.

Nessun elogio cieco alla vita di paese. I problemi ci sono dovunque. È innegabile che, visto cosa sono diventate le città, i pensieri e i respiri trovano una dimensione più autentica in realtà piccole e meno dispersive. Non è questo il luogo per fare della sociologia urbana, solo una testimonianza. La mia. Che non ha e non vuole avere valenza universale, ma molto, molto personale.

Vivere in un piccolo paese vivere in città

Uno dei simboli più importanti di un paese è la piazza. Amo le piazze, con la loro valenza di luoghi di sosta e incontro. Un punto, una pausa, metaforica e non solo, nella vita e nella struttura urbanistica dei luoghi. Chiacchiere, parole, storie, leggende, personaggi. Di tutto questo è ricca la piazza di un paese. Cartina di tornasole per un impossibile anonimato. Difficile restare anonimi in paese. Nel senso etimologico ed esistenziale ci sarà sempre un nome o un soprannome a distinguervi dagli altri. Talvolta imprigionati in pettegolezzi e storie deformate dalla fantasia. Ma quasi sempre un soprannome è la sintesi di tutta una vita e di un modo di rapportarsi alla comunità. Nel bene e nel male è la prova vocale della nostra esistenza. In città conosciamo sempre il cognome di tutti quelli che abitano nel nostro stesso caseggiato?

Il paese ha la capacità di dare significati diversi alle parole e ai concetti. Cos’è il tenore di vita? Cosa significa stare bene? A Ischia di Castro la maggior parte della popolazione vive in case di proprietà. Io, personalmente, conosco solo una persona che sta in affitto. A che prezzo? Una casa di più di settanta metri quadrati per 280 euro al mese. Io a Milano per una casa di circa cinquanta metri quadrati ne pago 800. Chi è più ricco? Cos’è il Pil in un piccolo paese?

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Se un’eccessiva attenzione di tutti nei confronti di tutti a volte può diventare soffocante c’è da dire che la stessa attenzione rende quasi impossibile che in paese si muoia di stenti e di solitudine. Non vedere in giro una persona per più di un paio di giorni allerta sguardi e parole in un tam tam di curiosità che costituisce una solida rete sociale. In fondo il tessuto territoriale dell’Italia sono i paesi. Le città mi appaiono sempre più come degli accidenti storici. Belle alcune, bellissime altre, altre orribili quando non insignificanti ma spesso delle eccezioni. Il campanile, per questo paese, se fatto in modo sano e civile, andrebbe difeso e rivalutato.

In città ci sono più opportunità di lavoro? Siamo sicuri? Io credo solo che ci si fa tanto più male quanto più è grande l’altezza da cui si cade. Quando sono a Milano la crisi la avverto in ogni istante. Quando sono a Ischia so che c’è ma la avverto un po’ più attenuata. Più si ha più si perde. Ridurre i consumi in città cosa vuol dire? Andare meno al cinema? Rinunciare a qualche aperitivo? Allo shopping. Quando sono nella Tuscia vado a vedere uno spettacolo grandioso: l’acqua increspata del Lago di Bolsena nella luce del tramonto. Costo? Zero euro. E se proprio mi viene voglia di cinema c’è Viterbo oppure Roma. La città è spesso un noioso promemoria su ciò che non ci possiamo più permettere. O su ciò che, liberamente, decidiamo che non ci interessa più.

Ma vuoi mettere la vita sociale che fai in città? Davvero? Ma quando si va al cinema si parla con i propri vicini di posto? Si è meno soli? Lungi da me demonizzare le offerte della metropoli. Dico solo che tutto dipende da come noi le sfruttiamo e cosa lasciamo che ci diano in termini di arricchimento. Se ci manca qualcosa dentro, un cinema, un teatro o una mostra hanno lo stesso valore di un prozac. Ma di chi è questa voce che fa obiezioni? Chissà.

Vivere in un piccolo paese vivere in città

A Milano a volte penso di condurre una vita da topolino: da una scatola (la casa) a un’altra scatola (la metropolitanta) a un’altra scatola ancora (il luogo di lavoro). La città è grande ma in realtà piccola. Fatta di tante piccole scatole una dietro l’altra, in una sequenza immutata e immutabile di passi e gesti. Del resto è normale che sia così quando le strade che calpestiamo sembrano portarci solo a scadenze di impegni e lavoro. Dovessi provare a fare un disegno di Milano e della sua vita lo farei con una grossa bolla, un grosso acquario con dentro tanti pesciolini tristi che vanno a sbattere sul vetro.

Sì però in città ci sono tantissimi stimoli culturali. Ah sì. Di quale cultura stiamo parlando? O meglio, di cosa parliamo quando parliamo di cultura? E che tipo di fruizione abbiamo rispetto ad essa? Ed è necessario vivere in città per avvicinarsi al bello e al colto? Credo che la curiosità e il bisogno di cultura siano qualcosa che nasce da dentro, che si coltiva nel tempo e non dipenda dalla vicinanza fisica alle proposte. Conosco gente che abita a pochi metri dal Cenacolo e non ci ha mai messo piede.

Insomma queste sono solo alcune riflessioni a ruota libera su un argomento che mi sta molto a cuore. Ho conosciuto in questi anni molte persone che hanno deciso di abbandonare la città per vivere in paesi piccoli o piccolissimi per mettersi in ascolto in altro modo. Non ci sono scelte giuste o sbagliate. La cosa certa è che non scegliere è la cosa peggiore. Scegliere dove e come vivere per me sta diventando una questione di autenticità, di desiderio di vicinanza a me stessa e a ritmi mentali diversi. Io preferisco il paese, ma è una opinione del tutto personale.

Geraldine Meyer

geraldine.meyer@libero.it