Ma lui aveva coniato il termine Virtual Reality  pensando alla tecnologia cibernetica, quella che collega l’uomo, e i suoi sensi, a computer futuristici. Erano gli anni  Ottanta e appariva come un miracolo la sintonia tra la macchina e l’operatore. Sintonia come collegamento assorbente, globalizzante, totalizzante, che non richiede più un legame con la realtà concreta così come praticata e vissuta precedentemente. E i catastrofisti si affacciarono al tema con toni allarmistici.

Ma il virtuale già c’era: era nel telefono (chi non ha immaginato un altro e non ha palpitato solo sentendo una voce?); era nel televisore bianconero; era nei messaggi SOS; era nei telegrammi; era nei primi messaggi radiofonici di Marconi; era nei segnali di fumo che gli indiani si scambiavano. Non mancò chi non colse come le varie tipologie umane vivevano la realtà in maniera affatto diversa. Si aprì in tale maniera il dibattito che affonda le radici, ad esempio, nel surrealismo.

Fantasia e realtà realtà virtuale

Eppure c’è un momento in cui le differenze svaniscono. Le tecnologie nascoste dietro gli oggetti non contano più. Tutto ciò che di sofiscato e tecnologicaamente avanzato venga quotidianamente utilizzato, sfuma nel panorama della mente. Resta solo l’utilità concreta. Quando, poi, le diavolerie tecnologiche sono applicate al gioco, si è portati piuttosto a credere ai miracoli. E si sgranano gli occhi, anche a cento anni, così come fanno i bambini davanti a Biancaneve, a Peter Pan, a Bambi, a Topolino, Paperino, Banda Bassotto, Archimede…

L’abbiamo vista questa scena. Abbiamo notato la trasfigurazione, i volti arcigni farsi gioiosi. Così come abbiamo notato i bambini che non vogliano andar via, non vogliono lasciare una dimensione ludica in cui stanno bene e si fanno cattivi, minacciosi, per scalciare come ossessi agli stinchi di genitori ormai alla frutta. Abbiamo anche visto famiglie dividersi e qualcuno ci ha chiesto come andare al Molin Rouge o a Mont S. Michel. A qualcuno abbiamo potuto far vedere le foto qui allegate ed altri, molti altri, hanno letto ciò che abbiamo descritto, quel che stiamo qui evidenziando, ma da una ottica diversa, nella PAGINA AUTORI di NAPOLI MISTERIOSA: si può leggere e vedere qui:

http://napolimisteriosa-autori.blogspot.com/2010/07/la-recensione-piu-difficile.html

al fine di mettere a disposizione dei lettori la nostra esperienza ancora in corso.

Anche stavolta, come in quell’altro articolo, siamo un pò riottose e stiamo ciurlando nel manico, ma i lettori di questo portale probabilmente hanno fretta, vogliono decidere subito dove andare in vacanza, dove portare i figli. Ebbene, noi eravamo già state qui, a Parigi, EURODISNEY, dodicenni  alla prima esperienza di volo aereo e della di visione di masse di persone, popoli interi, mossi solo dalla voglia di distrarsi, di realtà virtuale, di divertimento, quello che ti riporta all’ infanzia, nel mondo della fantasia. E chi potrebbe dire che quel mondo sia reale e non virtuale?

Stavolta ci siamo per lavoro, così come stanno facendo centinaia di giovani provenienti da tutto il mondo. Perché questa è la verità: i giovani non sono sfaticati,; non è vero siano mammoni, che hanno scelto di starsene sotto le gonnelle materne, che a ogni refolo telefonano al papino. Noi, da almeno quattro-cinque anni, dall’Erasmus, abbiamo incontrato una valanga di giovani italiani e italiane che avevano buttato quattro stracci in una valigia, no, scusate, in un trolley (qualcosa doveva pur cambiare dall’epoca del cartone a forma di valigia, o no?), partiti da ogni dove, per andare a mettere tenda e vedere dove fa giorno.

Qualsiasi destinazione era buona, pun paradiso, purché guadagnassero qualcosa, per essere indipendenti, fosse anche solo per un breve periodo, per il cosiddetto rapporto a termine, che non allude certo a fatti di cuore, di sesso, al kamasutra e così via. Così abbiamo incontrato una ragazza di Aosta, una di Napoli, due fisici, uno emiliano e l’altro astigiano, a Grenoble, la città dove si tenne una Olimpiade della neve (se ne parla in altro articolo); una sarda, una tarantina, una svedese, una polacca, una pugliese, ad Ajaccio, (anche questa città apparsa in un articolo di VOGLIO VIVERE COSI), nota città che fece in tempo a divenire francese (fino a  un anno prima era italiana) per dare i natali a Napoleone Bonaparte con il marchio francese. E tante altre.

Tutti erano già stati in altre città europee e la pugliese, addirittura, un anno intero negli Stati Uniti d’America, a lavorare per Disneyland.

E proprio lei, la pugliese, ci fece venire l’idea di fare un colloquio per lavorare a Eurodisney, a Parigi. E ciò dopo aver insegnato Italiano. Perché non farlo?

Non vorremmo ingenerare false convinzioni, non siamo una agenzia di collocamento o di lavoro interinale, ma se ci siamo riuscite noi lo possono fare tutti. Beh, insomma, a noi è andata bene giacché conosciamo il francese e l’inglese. Tuttavia, i requisiti veri sono: avere una faccia pulita e conoscere le due lingue. Eppure è successa una cosa straordinaria: ha fatto il colloquio un ragazzo di Avellino, non messo benissimo con le lingue. Ma ha un volto simpatico. Lo hanno assunto.

Ciò potrebbe lasciar sperare bene ai ragazzi in genere: senza offesa per nessuno, va detto che di giovani con il volto pulito ne incontriamo in ogni città, in ogni luogo. C’è qualcuno che potrebbe negarlo?

Conclusione: se queste note le leggesse qualcuno che voglia fare l’esperienza, si proponga. Cerchi il sito di Eurodisney e faccia quel che deve fare. Innanzitutto verifichi dove si tengono i colloqui e inoltri la domanda. Se poi ci fosse bisogno di qualche consiglio, scriveteci !

Alessia e Michela Orlando

michela-orlando@virgilio.it