Non lascia infatti la sua Carnia per mettere in piedi un progetto di eco villaggio cui darà il nome di “Pecora nera”. Una scelta di vita improntata alla decrescita e all’autoproduzione quanto più possibile, che diventa sempre più urgente dopo diversi periodi trascorsi in eco villaggi all’estero. Una frugalità e una sobrietà di vita quanto più radicali possibili per impattare sempre meno sugli equilibri dell’ambiente che tutti ci circonda e ospita. Una scelta di vita, quella degli eco villaggi, che comincia a suscitare curiosità e interesse anche in Italia. Per rispondere ad esigenze anche sociali, di recupero di una condivisione di prodotti e valori. Devis racconta la sua quotidianità nel sito www.progettopecoranera.it ma, dal sette aprile, sarà anche in libreria con un testo pubblicato da Marsilio. Mtv ha realizzato un breve documentario su questo ragazzo, che vi consigliamo di ascoltare, oltre che vedere a questo link www.mtvnews.it/storie/la-storia-di-devis/

A noi di Voglio vivere così ha rilasciato questa intervista, molto sincera, schietta; non scevra da dubbi e leale nel raccontarci anche di quei piccoli grandi aggiustamenti che il progetto ha vissuto nel corso del tempo. Non è un fanatico Devis e neanche un asceta. Forse per questo il suo racconto ci è parso ancora più autentico e, perché no, poetico.

decrescita Devis Bonanni, Pecora Nera

“Pecora nera” è un nome che sembra già contenere in sé un giudizio: pecora nera è chi si allontana dal gregge, l’eccentrico, il diverso. Ti senti così tu? Ti senti giudicato?

Non sono una persona che vive bene né il giudizio, né la critica. A volte non capisco l’ironia e finisco per imboscarmi in discussioni paradossali. Al tempo in cui, con il mio amico Eros, scelsi il nome pecoranera mi definivo anarchico individualista. Allora sembrò naturale richiamare un distinguo dalla folla, dalla massa vista come svilimento dell’individualità. Desideravo il mio quarto di nobiltà. Nel corso degli anni sento di aver confermato questo sentire. Naturalmente credo fermamente nelle mie scelte ma quella sensazione di andare contro corrente è un pungolo costante a migliorarmi. Un esempio: sono un ciclista che rifiuta radicalmente la pista ciclabile. Vedo i placidi pedalatori della domenica e inevitabilmente mi sembrano pecorelle smarrite chiuse in un recinto. Io scelgo la statale, rivendico di stare là dove conta, nella fiumara del mondo. Non mi accontento di una riserva indiana. È nella mia indole. Penso che se mai tutti adotteranno la bicicletta e il mondo diverrà una meravigliosa pista ciclabile, io salirò su un auto e rivendicherò il mio diritto alla mobilità alternativa.

Ciò che mi ha colpito, vedendo e ascoltando il documentario realizzato da MTV per parlare della tua storia, è l’estrema autenticità del modo in cui racconti. Una parola che torna spesso è “equilibrio”, che tu, spesso, usi come sinonimo di compromesso; spiegaci meglio cosa intendi.

Se ripenso alla forza e all’entusiasmo degli inizi provo vertigine. Nello stato d’animo che caratterizza l’inizio di un’avventura si è capaci di superare qualsiasi ostacolo. Poi, inevitabilmente, l’avventura cede il passo alla quotidianità. Ed ecco che la spinta iniziale si affievolisce ed è necessario cercare un nuovo equilibrio. C’è stato un tempo in cui ho fatto l’inventario di cosa era cambiato nella mia vita e ho deciso cosa tenere e cosa lasciar andare. Perdere qualcosa per non perdere tutto. Ad esempio: per due anni ho vissuto nella piccola casetta in legno che compare sul blog di Pecoranera, è bellissima ma è anche una terribile stamberga che d’inverno non offre protezione contro il gelo. L’ho abitata più per romanticismo che per praticità. Oggi abito in una casa “normale” che ho adattato alla mia frugalità: riscaldamento e acqua calda a legna, niente TV, meno cianfrusaglie possibili. Sono allacciato alla rete elettrica ma cerco di consumare il meno possibile, ho l’acqua corrente ed un bagno vero ma non per questo sento di aver mancato alla mia promessa.

Per Voglio vivere così ho scritto diversi articoli e interviste su persone che hanno fatto una scelta di vita simile alla tua, e ciò che mi ha colpito è che, la maggior parte di esse, siano persone molto giovani. Una scelta quindi anagrafica o una maggiore e consapevole scommessa sul futuro? I così detti adulti hanno abdicato davanti alla possibilità di recuperare certi valori?

Dagli adulti non possiamo pretendere nulla. Con tutto rispetto, dobbiamo pensionarli e badare loro mentre invecchiano. Mia madre ha sessant’anni, non posso dirle: «Senti mamma, il sistema che avete costruito è tutto da rifare, datti una mossa!» Loro, i vecchi, hanno creduto in un mondo e si sono adoperati per il meglio che ritenevano possibile – poi la cosa è scappata loro di mano e hanno cominciato a dire: “Si stava meglio quando si stava peggio”. Ora tocca a noi, ai giovani, ai diseredati del vecchio regime, agli scontenti che cercano alternative. Se ci arrendiamo arroccandoci sugli ultimi capisaldi di un sistema che palesemente non offre più risposte adeguate, abbiamo perso in partenza. Non c’è più tempo per lagnarsi, è ora di avere qualche buona idea e metterla immediatamente in pratica. Se tutto fa così schifo – cosa siamo noi capaci di fare?

Devis Bonanni, Pecora Nera decrescita

Tu dici che vivere in simbiosi con la natura, producendosi ciò di cui si ha bisogno significa diventare responsabili delle proprie azioni e consapevoli che le risorse non sono infinite. Eppure la maggior parte delle persone sembra non accorgersi di questo: non ti senti impotente davanti a tutto ciò?

Chiariamo un punto: ogni attenzione per l’ambiente è un’attenzione per noi stessi. La Natura non ha bisogno di salvatori. L’umanità brulicante sulla sua crosticina è una lieve influenza in confronto alla potenza vitale del Pianeta Terra. Al massimo ci scrollerà di dosso estendendo un paio di deserti, innalzando gli oceani e scatenando qualche uragano. Qualche specie andrà estinta e pazienza se anche l’homo sapiens andrà perduto o decimato. Vivere in simbiosi, seppur parziale, con la Natura apporta un beneficio per il nostro corpo in termini di benessere e serenità, consentendogli di ritrovare quella connessione che solo recentemente è stata recisa. Fare l’orto è terapeutico oltre che utile, percorrere le geometrie degli ortaggi ci dona una visione privilegiata sul palcoscenico più grande, quello fatto di mari, monti , fiumi e pianure.

Quindi dico no, non mi sento mai impotente perché agisco per nome e per conto mio. Naturalmente ho piacere di condividere le mie urgenze con altri perché ho la presunzione che le mie scelte siano sagge e anche condivisibili.

Tu affronti un concetto importantissimo che è quello dell’identità determinata dal lavoro che si fa, una stortura del pensiero che condiziona intere esistenze. Cosa significa vivere al di fuori di questa logica?

Che tutti vogliono farti i conti in tasca. Lo accetto perché è la conseguenza di aver propagandato la mia scelta. La gente dice: «Senza i soldi non si può vivere e senza lavoro non si hanno i soldi». Questo è vero, ma è altresì vero che sia possibile vivere con poco denaro. Ho lavorato per cinque anni come tecnico informatico e ho risparmiato, ho la fortuna di avere un’abitazione di proprietà, mi scaldo con la legna, ho rinunciato all’automobile ed evito le spese inutili. Dall’agricoltura ho entrate modeste che in questi anni avranno coperto si e no la metà delle mie spese ma me la cavo. Allora mi dicono: «Non tutti possono fare come te». Questa è sacrosanta verità ma è anche una buona scusa per non fare nulla. Ho potuto fare molto perché sono partito avvantaggiato e non ho disperso le energie, a diciotto anni sapevo già quello che volevo. Nulla toglie che sia possibile fare scelte di decrescita partendo da altre basi e giungendo ad altri traguardi, diversi ed apprezzabilissimi. Per quel che riguarda il riconoscimento sociale del lavoro: è un casino. Dalle mie parti, dopo il nome, ti chiedono che lavoro fai. Cosa rispondere? Si corre il rischio di essere etichettati come dei perditempo ecologisti. Non sempre si ha la capacità di spiegare, non sempre l’interlocutore ha un background sul quale fare presa con riferimenti noti. A volte preferisco mentire, dico che sono un tecnico informatico come sono stato fino a tre anni fa. Oppure sparo basso, dico semplicemente: sono disoccupato. Questo pare meno grave che mettere in discussione il dogma: lavoro dunque sono.

Che differenza c’è, per te, tra solitudine ed isolamento?

Stare in solitudine significa stare in compagnia di sé stessi. Per dirla alla Thoreau: «Non ho mai trovato miglior compagno che la solitudine». Bisogna star bene con se stessi per stare da soli. L’isolamento è invece la distanza che ci separa dagli altri quando vorremmo comunicare. In montagna è una distanza fisica, in città può essere sociale, per tutti può essere psicologica. Chi è abituato a stare in città, ed avere tanti corpi estranei attorno, sale in montagna e si lamenta dell’isolamento. Questo mi pare molto buffo perché quando mi reco in città sento le persone, che mi camminano a fianco su un marciapiede, molto più estranee degli alberi di un bosco. Per costituzione sono un solitario e finisco spesso a lamentarmi delle gente che mi sta tra i piedi. Non per supponenza ma perché l’interazione col prossimo mi sfinisce e devo prenderla a piccole dosi. Stare solo, viceversa, mi consola, mi concilia e mi ricarica.

Dici che a volte i pensieri diventano ingombranti stando tante ore da solo. Cosa fai quando succede questo?

Nella solitudine la mente tende a espandersi. I pensieri diventano pensieri di pensieri, in una ricorsività infinita che potrebbe soverchiare la più solida delle coscienze. Quando sono solo ascolto la radio, preferisco la radio parlata a quella musicale. Ascolto i pensieri degli altri e blocco la corsa dei miei. A volte questo non basta più ed allora cerco il contatto con il prossimo che ci trasporta in un’altra dimensione, ci fa uscire da noi stessi per abitare un poco l’aria che ci sta attorno.

www.marsilioeditori.it/component/marsilio/libro/3171181-pecoranera/

www.mtvnews.it/storie/la-storia-di-devis/

www.progettopecoranera.it

 

A cura di Geraldine Meyer