Autore Topic: Perchè ce ne vogliamo andare.........leggete..  (Letto 5292 volte)

Adalberto

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Perchè ce ne vogliamo andare.........leggete..
« il: 07 Giugno 2010, 16:17:48 »
Per un pugno di soldi

di Tommaso Cerno ed Emiliano Fittipaldi

Paghe da 4 euro l'ora. O mensili da 500 per mestieri qualificati e orari pesanti. È l'Italia dei sottopagati. Giovani e non solo.

RACCONTATE La vostra esperienza di lavoro sottopagato

Francesca Canale, 33 anni passati a Roma, ha fatto un colloquio per una delle più importanti agenzie che gestiscono le visite guidate nei musei capitolini. "Cercavano laureati in storia dell'arte, che possibilmente avessero pure un master, capaci di parlare bene almeno una lingua". Un lavoro massacrante: tre visite da un'ora e mezza ogni giorno, spostamenti da una parte all'altra della città, disponibilità sabato e domenica, che significa spesso fare il sette su sette. Quello che non torna, del pacchetto, è lo stipendio: 500 euro al mese. "Levando due euro per andare e venire con la metro e 6 euro per un panino e una bottiglietta d'acqua, mi restano per vivere poco più di 300 euro: io vedendo il contratto mi sono depressa, ma altri colleghi hanno festeggiato quando hanno passato la selezione. L'agenzia dice che è una grande opportunità, io non riesco a vederla".

Come Francesca c'è Marcella Contini. Ha 40 anni, una laurea in giurisprudenza in Sicilia, una qualifica bassa e uno stipendio indegno. Da dieci anni fa parte del grande bacino degli oltre 3 mila ex precari del Comune di Palermo, che li ha riuniti dentro la Spo, una società costituita dal Comune insieme a Italia Lavoro. Stipendio uguale per tutti: sino a tre anni fa, il gettone mensile era di 513 euro senza contributi, ferie, tredicesima né la garanzia di continuità occupazionale. Ora la paga è salita, si fa per dire: sfiora i 600 euro. Gli straordinari, sempre richiesti e mai conteggiati, non vengono pagati. Per 25 euro al giorno Marcella ha lavorato prima al Comune di Monreale (toccava a lei mettere ordine alle delibere del consiglio comunale e della giunta cittadina), poi nel gabinetto del sindaco. Da Monreale è tornata a Palermo, finendo prima nei ranghi della Regione siciliana, in un ruolo dirigenziale che non verrà mai riconosciuto, poi al Corpo Forestale, dove ha da poco riscritto il regolamento per la telefonia interna. È stata lei a stabilire a chi andassero in dotazione cellulari e schede Sim di servizio. Ha imposto misure draconiane: una sforbiciata da oltre 150 mila euro, mentre altri soldi li ha fatti risparmiare sulle bollette energetiche.





La riprova è arrivata dagli ultimi dati Istat. Il tasso di disoccupazione nella popolazione tra 15 e 24 anni ad aprile era pari al 29,5 per cento, con un aumento di 1,4 punti rispetto a marzo e di 4,5 punti rispetto al 2009. Un esercito di ragazzi e ragazze che trovano sempre più porte chiuse: "Lasci il curriculum, ci faremo sentire noi", è il refrain più ascoltato ai colloqui. Mese dopo mese, le aspettative sono calate e l'urgenza di trovarsi qualcosa da fare è cresciuta. È così che in due anni la soglia già critica dei 900 euro al mese come primo stipendio s'è dimezzata. Poco importa se hai la laurea o il master.

Di gente che vive in queste condizioni ce n'è in tutte le professioni. Avvocati, impiegati, consulenti, segretari, archeologi, addirittura medici del Pronto soccorso. E ancora traduttori, docenti e operai nei cantieri.



Raul Gatti, 26 anni, e altrettanti esami alla facoltà di lingue (inglese, francese e spagnolo scritte e parlate), aveva giurato a se stesso che non avrebbe mai accettato un lavoro al call center. Finché alla terza raccomandata del padrone di casa che non vedeva arrivare l'affitto, ha finito per cedere. È stato licenziato dalla ditta di tessuti che l'aveva preso come apprendista. E ora se ne sta chiuso in uno stanzone con altri 50 colleghi di precariato a ripetere ogni cinque minuti la stessa filastrocca. "Io mi vergognavo di mio padre, che faceva il ferroviere. Oggi lo ammiro. Gli passano 1.300 euro di pensione, una cifra che per me rimane un sogno", si sfoga.

L'analisi Almalaurea combacia a perfezione con lo studio Bankitalia firmato da Alfonso Rosolia e Roberto Torrini, che mostra come nel corso degli anni Novanta e Duemila la busta paga dei giovani italiani sia crollata rispetto a quella del decennio precedente. Alla fine degli anni Ottanta le retribuzioni nette degli under 30 erano più basse del 20 per cento rispetto a quelle dei senior, vent'anni dopo quel differenziale è quasi raddoppiato, arrivando al 35 per cento. Un fenomeno che riguarda non solo i laureati, ma anche chi lavora in settori a bassa qualifica e per la pubblica amministrazione.

Se c'era una volta il concorso pubblico e pure il posto fisso, quello dei fannulloni, secondo il ministro Renato Brunetta, pagati per non lavorare, ormai anche negli enti pubblici, a partire dai Comuni, si tira sulla busta paga più che si può. L'offerta a concorso non è più il tempo indeterminato ma, se va bene, per qualche mese di contratto. E lo stipendio sempre più spesso è pagato in voucher. Lavoratori in affitto, dunque, che a fine mese non mettono in tasca più di 300 euro.

Eppure in fila c'è di tutto, dalla ricca Treviso alla Puglia. Laureati, diplomati, licenziati, precari e disoccupati. C'è l'Italia che lavora e non guadagna più. C'è la generazione che per mettere in tasca mille euro a fine mese di impieghi ne dovrebbe collezionare almeno tre, quando fa fatica a trovarne uno. In Lombardia Francesco lo sa bene. Ascolta Guccini da quando aveva 15 anni e, fino ad ora, aveva sempre creduto che davvero un laureato valesse più di un cantante. E invece, senza la chitarra elettrica e quelle due serate al mese che riesce a tirarsi fuori, il suo stipendio sarebbe di 340 euro. Senza contributi. È ingegnere e ha perso tre volte il posto. Crisi economica, ripetono tutti, tagli di organico, flessibilità. "Come fai a starci dentro? Facevo il pendolare da Verona, pagavo il treno e il vitto ed ero già a zero. Altro che bamboccione, meno male che c'è mamma".

Ha un sacco di amici che non se la passano meglio di lui. Marco De Cataldo, 25 anni e forte accento romano, ha accettato un posto al call center. Il settore è in crisi verticale, e i mille euro di tre quattro anni fa sono una lontana chimera. Oggi l'annuncio dell'azienda che deve gestire l'attività di "teleselling" per Tiscali propone un contratto con fisso mensile di 400 euro. Disponibilità 5 ore al giorno, da lunedì al venerdì più due sabati al mese. "I premi? Li promettono, ma quasi nessuno riesce a beccarli. Di fatto, togliendo le spese, lo stipendio è di 300 euro netti al mese. Se sei fortunato e prendi il turno pomeridiano, puoi arrotondare con un altro call la mattina, basta che gli uffici siano vicini". Alla fine, dieci ore al giorno a ritmi massacranti con l'orecchio incollato al telefono rendono 600 euro scarsi: "E devi pure ringraziare se non finisci in una ditta di Firenze come quella in cui le forze dell'ordine hanno trovato i frustini con cui picchiavano i telefonisti".

E così Walter Bonaira, 38 anni, bibliotecario ad Asti, laurea, master, abilitazione, cinque pubblicazioni e due saggi, s'è messo in proprio come fosse un imprenditore piemontese a caccia di affari. "Ormai in Italia non è più il lavoro a essere precario, ma l'essere umano. I soldi sono talmente pochi che non bastano a vivere. E così chi lavora non ha più una casa, né spesso una famiglia. Con gli affitti come quelli di Roma, dove chiedono anche 500 euro al mese per una stanza, si è costretti a vivere insieme ad estranei, gruppi di amici, spostandosi sempre più verso le estreme periferie", spiega il regista-scrittore Ascanio Celestini. Una volta il lavoro era identitario, indipendentemente da che lavoro fosse o da quanto fosse retribuito. Una volta, appunto. Perché oggi i curriculum si allungano. Tre mesi qua, due mesi là. Senza prospettive. "Oggi i giovani in Italia nemmeno sanno che mestiere fanno. Se glielo chiedi, non te lo possono dire perché ne cambiano troppi", continua Celestini. Talmente tanti, che non sanno più chi sono.
Un esercito senza volto, catalogabile solo in una categoria: i sottopagati.

B-Movie

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Re: Perchè ce ne vogliamo andare.........leggete..
« Risposta #1 il: 08 Giugno 2010, 19:42:20 »
Ma vabbè all'estero non è che sia meglio. A me un albergo di lusso mi voleva dare 500 euro per fare un lavoro da 9 - 10 ore al giorno, quando c'è gente in Italia che per 8 ore ne prende il doppio. 
Non è che fuori dall'Italia sia meglio. Tutto il Mondo è così : basta solo sapersi destreggiare e adattarsi.

gioix77

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Re: Perchè ce ne vogliamo andare.........leggete..
« Risposta #2 il: 13 Luglio 2010, 13:38:18 »
...non credo sia solo una questione di soldi...
e se è così la cosa è assai penosa!

B-Movie

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Re: Perchè ce ne vogliamo andare.........leggete..
« Risposta #3 il: 18 Luglio 2010, 19:11:34 »
Non ho capito cosa fa pena. Che la gente venga sfruttata per un tozzo di pane o che ci si traferisca all'estero anche per soldi ?

PaTaTiNo

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Re: Perchè ce ne vogliamo andare.........leggete..
« Risposta #4 il: 15 Settembre 2010, 17:36:27 »
Situazione davvero tragica. Più passa il tempo e più capisco bene la situazione.
E' in atto uno sfruttamento da parte della classe politica (prima) e delle società (dopo) che hanno fiutato un modo di fare che alla lunga può risultare molto vantaggioso per entrambi.

Se crei le condizioni affinchè la gente viva in uno stato di depressione credendo che "c'è crisi", allora si accontenterà di qualsiasi cosa gli dai.
Protesterà, si ribellerà (e al giorno d'oggi non sa fare manco quello) ma nessuno lo ascolterà e dopo essersi sfogata in una manifestazione tornerà a fare il lavoro di prima, sottopagato.

Il controllo... mentale coadiuvato da un totale disinteresse, porta allo svilimento e alla stasi.
Ed ecco come poi balena in testa l'idea di cambiare aria, nazione, paese.

Sacrosanto. Visto che anch'io mi trovo in queste condizioni. Nonostante abbia un ottimo lavoro, ma non ho indipendenza, vivo sotto i miei genitori, tristi e sconsolati dalle tasse da pagare, e non trovo il coraggio di andarmene.

speranzeserenitaperdute

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Re: Perchè ce ne vogliamo andare.........leggete..
« Risposta #5 il: 30 Ottobre 2010, 00:25:48 »
io INVECE IL CORAGGIO DI ANDARMENE LO HO ECCOME!
MI MANCA SOLO IL CONTANTE...
NON POSSO CHIEDERE AI MIEI SOLDI PER MANTENERMI UN PERIODO ALL'ESTERO SE NON TROVO LAVORO SUBITO IN LOCO
TU ALMENO UN LAVORO LO HAI...
IO NON HO PIU' NULLA

 :-[

astrid

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Re: Perchè ce ne vogliamo andare.........leggete..
« Risposta #6 il: 23 Febbraio 2011, 16:29:58 »
Salve a tutti mi sono appena registrata. Perchè voglio andare via? Perchè a 43 anni, dopo aver cambiato vari lavori, la maggior parte in nero, e con una cultura universitaria, dico basta a tutto e a tutti. A causa di questa situazione non solo non sono riuscita  a trovare un lavoro che mi permetta di vivere in modo dignitoso, ma questo mi ha anche impedito di farmi una famiglia. Non ho più niente da perdere.