Disaster Tourism

C’è da credere che nel giro di qualche mese la foresta a sud di Medellin dove è precipitato l’aereo che portava nella città colombiana la squadra di calcio brasiliana della Chapecoense per la partita di andata della finale di coppa diventerà una nuova, macabra meta turistica tra le più gettonate del Paese sudamericano. Già, perché il disastertourism, come è stato battezzato quel curioso fenomeno in base al quale la gente è spinta a visitare di persona i luoghi in cui sono avvenuti gravi e spaventosi incidenti, sta raccogliendo sempre più adepti in tutto il mondo.

E maggiore è la risonanza mediatica dell’evento, maggiore è lo spostamento di curiosi a caccia di testimonianze di qualcosa fino a quel momento vissuto solo per sentito dire. I disastri naturali restano i preferiti da questo strano genere di turisti, che, terminata l’emergenza, si mettono in auto o acquistano un biglietto aereo per raggiungere i teatri devastati delle tragedie. Inondazioni e terremoti rimangono gli eventi più ricercati: non ci si accontenta più delle narrazioni televisive da parte dei giornalisti di turno, ma si preferisce andare a curiosare di persona, quando le telecamere si spengono e il territorio si offre ai loro occhi in tutta la sua triste realtà.

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visitare i luoghi dei disasti

All’indomani del disastroso maremoto che in Giappone aveva devastato ettari di territorio nei pressi della centrale atomica di Fukushima e aveva causato danni ben più gravi e preoccupanti dell’analogo incidente accaduto qualche anno prima alla centrale ucraina di Chernobyl, una delle fatiche maggiori da parte degli uomini dei soccorsi intervenuti prontamente sul luogo per evitare ulteriori fonti di contaminazione fu quella di tenere alla larga le decine e decine di curiosi che si erano portati nei pressi dell’area colpita per vedere con i propri occhi gli effetti del cataclisma. Una curiosità morbosa, certo, che alimenta però una forma di turismo che, nonostante quel che si possa pensare, è diventata talmente consistente da costituire un fenomeno ben preciso.

E che dire di coloro che, crollate le Twin Towers dopo il doppio impatto con i jet pilotati verso il martirio dai terroristi che gettarono il mondo nel panico l’11 settembre 2001, partirono alla volta di New York per assistere di persona alle nefaste conseguenze del miserabile attacco, aggirandosi fin dove i cordoni di sicurezza permettevano loro di spingersi? O di quelli che, incuriositi dalle immagini che sempre più numerose e dettagliate arrivano nelle loro case via tv o web, saltano in macchina e raggiungono il luogo percorribile più vicino all’epicentro del più recente terremoto?

Al momento, per fortuna, nessuna agenzia viaggi ha assecondato le loro tendenze, ma il sospetto che qualcuno possa subodorare l’affare e organizzare torpedoni alla volta di località già messe in ginocchio da luttuosi eventi c’è. E non ci sarebbe da stupirsi, visto che, secondo quanto teorizzato già qualche tempo fa da studiosi del calibro di Chris Anderson, il futuro del business turistico non potrà che adeguarsi al consolidamento del cosiddetto fenomeno della long tail, o coda lunga: non si potrà continuare ancora a lungo a vendere a una massa di persone sempre più ampia i medesimi prodotti turistici, ma sarà indispensabile ampliare al massimo e diversificare le offerte, in modo da raggiungere e soddisfare anche piccoli gruppi di “acquirenti”.

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E tra questi potrebbero esserci anche coloro che desiderano fare una capatina fra i boschi in cui è precipitato un aeroplano o sulle pareti delle montagne dove una slavina ha trascinato a valle qualche incauto escursionista. D’altronde che il Vajont in Veneto o Stava in Trentino abbiano avuto un significativo aumento delle presenze turistiche negli anni successivi alle tragedie che colpirono il loro territorio è un dato di fatto.

Evidentemente la curiosità dell’essere umano per i cataclismi che modificano la realtà e soprattutto la sua percezione è innata. E per questo, quando possibile, va soddisfatta. Sul costi quel che costi, saranno i nuovi tour operator a dire la loro.

Gianluca Ricci