Avevo un negozio di dischi nel profondo biellese, mia moglie lavorava in un circolo famigliare acli, era il 1993, scoppiava tangentopoli, fin troppo facile dire «voglio andare via». Credo propio che fu a quell’epoca che nacque il concetto di «cambio vita», «fuga», come fenomeno di massa, riviste come «Gulliver», con i loro servizi ed annunci, la situazione politica in Italia e i passa parola su paesi in via di sviluppo stimolarono parecchia gente. Noi già da qualche anno viaggiavamo: Marocco, India, Nepal, etc. Passavamo le domeniche d’inverno ad immaginare un futuro diverso, un rapporto piu’ semplice e meno di fretta con la vita e la natura. Il mio amico d’adolescenza Adriano e la sua compagna, Monica, già da tempo avevano preso il largo: Londra, Nicaragua, tra le onde delle Canarie e adesso erano in Costarica.

Fu l’ennesimo stimolo per noi: allora il Costarica era molto di moda, «la Svizzera del centro america», «un paese dove non esiste l’esercito» etc…Ci andammo in vacanza nel ’92, ci piacque, tornammo e vendetti il negozio.

E’difficile partire con un biglietto di sola andata : i tuoi posti ti sembrano improvvisamente piu’ belli, le montagne piu’contrastate, la gente piu’ simpatica, la famiglia ha il magone cronico,i simpatici amici si dispendiano a darti ogni sorta di consiglio e di avvertimento, ma nessuno, che mi ricordi, mi ha detto una volta sola «mi dispiace non vedervi piu’».

Pero’ sì mi ricordo la mattina buia verso l’aereoporto: il cambio nella mia testa era già avvenuto, ero già nelle foreste del Costarica e non mi sembrava realtà cio’ che stavo per vivere. Il check-in, i genitori di Michela pallidi in volto, lei in singhiozzi nella sala d’aspetto….Una sola domanda: «vuoi tornare indietro ?» L’ultimo singhiozzo fu un «no mai !».

Atterrammo a San José. Ricordavo la nostra prima visita qualche mese prima. Adriano e Monica, commossi in contro luce oltre la parete di vetro della sala d’attesa dell’aereoporto….Adesso eravamo li :biglietto solo andata, il sogno della nostra adolescenza si era avverato.

 

Restammo quasi un anno e mezzo. Gestimmo per qualche tempo un bar alla periferia di San José e quando avevo l’occasione portavo qualche turista a visitare il paese in cambio di qualche dollaro. Per il resto qualche lavoretto qua e la, qualche illusione, ma mai nulla di concreto. A parte i soldi che finivano.

Nel frattempo sembrava che mezza Italia si riversasse nel paese. Chi non sapeva spiegare che ci facesse li diceva «import-export» una categoria, in molti casi, che credeva di riunire i vantaggi dei tropici con la sicurezza del propio paese. Poi c’era anche molta gente disonesta, ma anche molta brava gente: giovani coppie, famiglie che compravano bungalows abusivi sulla spiaggia, pizzerie che non funzionavano….La lista é lunga e in molti hanno perso veramente tutto. Non voglio dilungarmi troppo, ma anche se ho lasciato qualche amico, se ho avuto un rapporto con la natura eccezionale in certi momenti e tanti bei ricordi, ilCostarica fu una disillusione. Non so ancora dire se sbagliai io o il posto. Forse tutti e due. Fu cosi’ che un anno e mezzo dopo il nostro arrivo contattai un conoscente alle Canarie, partii quindi da solo per Tenerife dal Costarica in avanscoperta. Partii senza troppa convinzione, in realtà mi sembrava già di essere sulla strada del ritorno. Mia moglie rimase ancora un mese in Costarica a casa di amici ed io mi stabilii a Tenerife e incominciai a setacciare annunci sui giornali e a visitare attività, spiagge in gestione, gelaterie e via dicendo.L’impatto non fu positivo. Mi resi subito conto che tirava un aria d’europa :edifici grigi a «La Laguna», tutto piu’ ordinato e con meno colore. Quando mia moglie mi raggiunse restammo ancora un mese.Lavorammo un periodo vendendo multi propietà, a caccia di turisti per strada che ci mandavano a quel paese. Dormivamo in stanze d’hotel sempre piu’ care con l’avvicinarsi della stagione, cosi’ decidemmo nel giugno del ’94 di ritornare a casa. Michela piangeva di nuovo sul volo di ritorno, ma non era piu’ un pianto di gioia, il sogno era forse finito.

costarica

Atterrammo in una calda estate,con la ferma intenzione di non rimanerci. I sorrisetti di conoscenti e parenti ci davano ancora piu’ la consapevolerzza che da un certo tipo di viaggio non si fa piu’ ritorno :si torna «tornati». Pochi s’interessarono delle nostre vere motivazioni e di come un anno e mezzo (e mi erano sembrati dieci) non fosse stata la solita vacanza tipo «diapositive.. ooh !», ma dove era iniziato un altro capitolo della nostra vita.

Io e mia moglie fummo costretti, non avendo piu’ una casa, a vivere dai rispettivi genitori, separati e con mile sensi di colpa. Passava l’estate, con i soliti stereotipi. Sfogliando Gulliver un giorno notai un annuncio «isole Tonga :piccoli investimenti». Incominciai a faxare con il «tongano», che era Davide di Lodi e stava, con l’aiuto del governo locale, mettendo su un progetto agricolo di rotazione delle colture e aveva bisogno di aiuto. Dopo alcune esitazioni, ad inizio ottobre ’94 partii da solo verso la polinesia: isole Tonga. Fu subito uno shock. Andai a vivere insieme a Davide e la sua compagna tongana,. Affittammo un ettaro di terreno nell’isola principale Tongatapu e iniziammo a coltivarlo. Sembrava di essere in un altro mondo : la gente che ti salutava per strada, echi di risate ovunque nelle case e poi la natura e la pressione dell’oceano ovunque. Si i tongani mi sono apparsi come un popolo felice.

Michela arrivo’ un mese dopo . Fu la prima a scendere dall’aereo, l’accolsi con una ghirlanda di fiori in testa. Trovammo una bellissima casa per noi con un giardino immenso dove cresceva di tutto, a due passi dal mare. La sera la nostra televisione era la luna tra le palme…La mattina partivo in bicicletta per andare a lavorare al campo :una quindicina di km per attraversare l’isola. A volte passavo giornate intere in completa solitudine, lavorando tra lattuga, pomodori e vento, il tutto in una esplosione di colori interrotta ogni tanto da qualche isolano che mi offriva un mango o una papaya. A fine giornata un bagno nella spiaggia vicino e poi tornavo intontito da tanta bellezza e silenzio a casa da Michela che mi aspettava per cena.

Poi conobbi Gianni: aveva una barchetta e insieme a amici polinesiani, quando si poteva, partivamo qualche giorno a scoprire le isolette intorno, ci si fermava a dormire sulla piu’ bella e per cena un falo’ con il pesce pescato in mari dai colori irreali…,poi ci univamo ai canti polinesiani al tramonto, mentre il cielo prendeva fuoco…un senso di libertà assoluta che non ho mai piu’ provato. Che dire di piu’? Poteva continuare? Certo che no! Il mio socio Davide ebbe dei problemi personali e fu costretto a rientrare in Italia. Rimasi solo con un progetto, un visto e un biglietto aereo in scadenza: non ce la sentimmo di continuare. Ma Tonga sì quello fu un vero cambio, non credo che avrei potuto vivere tutta la mia vita su un isola, ma dopo qualche tempo il problema é che non sarei piu’ riuscito a vivere da nessuna altra parte.

isole tonga

Tornammo quindi. Atterrammo a Linate a fine febbraio ’95 e fu un ritorno duro: lo sguardo di ghiaccio dei genitori all’aereoporto, il freddo, il grigio, senza macchina senza lavoro e prospettive.Trovammo rifugio nella casa di mia madre in un piccolo paesino, chiusa di solito d’inverno. Partivamo a piedi per fare la spesa nel negozio piu’vicino mentre alcune certezze si stavano incrinando. Michela ritrovo’ lavoro nel circolo dove già lavorava in precedenza. Io riuscii a farmi assumere e potemmo infine comprarci un’ A1 di seconda mano: perlomeno si riusciva ad andare avanti.

Non poteva finire cosi’. Era tornato un nostro amico -Ciro di Milano – dal Costarica. Andammo a trovarlo e ci parlo’ di un altro suo amico che lavorava in una gelateria a San José : una catena che era in un po’ tutto il sud america «se vuoi ti do il numero di telefono del responsabile..». Qualche settimana dopo eravamo a Genova per l’appuntamento, prossima destinazione: Bogotà, Colombia : Marzo del ’96.

Mia sorella ci accompagno a Linate una mattina nebbiosa. Prima di stabilirci a Bogotà, nelle nostre due gelaterie definitive, dovevamo fare un corso di un mese a Cali – pattria della salsa, da Umberto il responsabile in loco.

Si «querida Colombia» : fu amore a prima vista. Il calore e la spensieratezza della gente ci coinvolsero subito. Durante il periodo d’apprendistato non c’era sera che non si ballasse tra i cocci dei bicchieri di tequila. Non riuscivamo piu’ a lavorare….e loro: «lavorare ?». Non so piu’ quanta gente e quanti numeri di tefono collezionammo in quel mese, ma ci sentimmo subito nell’anima del paese, niente a che vedere se vogliamo fare un latino-paragone, con il Costarica, e qui sono d’accordo con Aldo Casadei nella sua bellissima descrizione sul Costarica in questo sito. E le donne poi…..Finito il corso ci stabilimmo a Bogotà : eravamo diventati responsabili di due locali diversi, avevamo tra gelatieri,segretaria e venditrici un totale di tredici dipendenti. Il guadagno non era male, l’alloggio pagato, ma si lavorava sette su sette e c’erano sempre problemi.

Fu un po’ difficile all’inizio abituarsi a Bogotà. Il clima, 6 milioni d’abitanti, i problemi di sicurezza che personalmente non ho mai dovuto affrontare. Cali da questo punto di vista era anche peggio, anche se rappresentava il vero tropico : pura energia e voglia di vivere.

Pian piano ci abituammo al lavoro e ai suoi ritmi, conoscevamo gente. Ricordo Stefano di Roma, sposato con Angela, colombiana; Margherita vera signora e vera amica. Insomma iniziavamo a sentirci a casa nostra e soprattutto avevamo finalmente un lavoro. Quando ogni mese mi recavo in aereo a Cartagena per la riunione di tutti i responsabili delle gelaterie avevo la sensazione di aver trovato infine la strada e di non far piu’ parte degli annunci di «Gulliver».

Il personale, era poco pagato e questo spesso portava a problemi di mancanzei in cassa. I licenziamenti erano continui e fui minacciato di morte da fratelli o padri di licenziate, ma nonostante tutto si andava avanti.

Fino a quando ricevetti la proposta di rilevare un bar in una zona turistica in Italia di un mio zio.Tentennammo. Dopo piu’ di un anno eravamo stanchi, senza giorni di riposo, senza una sera per poter cenare insieme. Allora pensammo di tornare in patria definitivamente. In fondo di esperienze in giro per il mondo se ne erano fatte, senza esserne costretti, di nostra scelta.

Colombia sei un paese che ho amato, ho apprezzato la tua gente, i tuoi taxisti che a volte mi facevano lo sconto dicendomi «non siamo tutti ladri noi colombiani», la tua cultura che guarda con interesse l’europa e la sua arte, a differenza del Costarica piu’ orientato verso Miami e i suoi shopping centers .Ho pensato per la prima volta di poter costruire qualche cosa di solido, ma il caso non ha voluto. Prima di rientrare ci prendemmo una vacanza e girammo il paese in lungo e in largo, da veri turisti.

Giugno ’97 : terzo ritorno. Il bar si rivelo’ una bufala e nonostante le precauzioni prima di lasciare il lavoro in Colombia, il quadro fu completo solo vedendo con i nostri occhi. Eravamo di nuovo punto e a capo, ma cio’ che mi faceva piu’ rabbia era che la gente intorno a noi sembrava non capire che avevamo lasciato la Colombia e un lavoro sicuro, solo per la prospettiva di un altro lavoro sicuro in Italia, non perché avevamo finito i soldi come le altre volte: «siete tornati no !?»

Prima di rientrare dalla Colombia un collega mi aveva accennato che un agenzia di viaggi che io conoscevo a Cartagena cercava un socio. Il solo pensiero di poter rientrare in Colombia ci ridava un soffio di vita. Il nostro permesso di soggiorno non era ancora scaduto…Insomma l’incubo di restare in Italia nell’ennesima situazione precaria….Si una chance, ancora una por favor! Contattai uno dei soci che era in Italia, c’incontrammo parecchie volte e una volta raggiunto l’accordo decidemmo di rientrare nella nostra «querida Colombia». Erano passati solo tre mesi, ma a noi sembravano tre anni : agosto’97. Il volo fece scalo a Panama una notte. Quando prendemmo il solito bus scassato, in quel preciso momento, quando guardai l’autista con il sorriso e lo stecchino in bocca, il figlio di 5 anni o giu’ di lì seduto sul cruscotto al quale davo i soldi, ebbene in quel momento mi resi conto che ero tornato a casa.

Gli ultimi accordi con l’agenzia a Cartagena non ebbero buon fine, non si dimostrarono seri, per non dire disonesti e dopo una settimana dall’arrivo pieni d’illusioni improvvisamente fummo costretti a rientrare : addio Colombia. Fu un colpo durissimo per il nostro morale e le nostre energie. Tornati a casa, ancora e di nuovo, considerammo il capitolo «fuga» terminato : ci avevamo provato in tutti i modi, i soldi erano finiti e solo mia moglie voleva continuare a lottare. Ma come poter tornare a far una vita normale come se niente fosse dopo tutte le esperienze e le lotte di quegli anni, quando ti rendi conto che la vita puo’ essere altro che un «quotidiano» in provincia?

Eppure era la realtà. Eravamo stanchi e demoralizzati. Riprovammo a contattare le gelaterie in Colombia ma non c’era piu’ posto per noi.Trovai un lavoro come camionista, chiaramente in nero : mi alzavo alle 5 e tornavo alle nove di sera. Michela non trovava lavoro. Dopo due mesi finii con il camion e lavorai tramite una cooperativa in un supermercato chiaramente temporaneo causa malattia, poi alla catena di montaggio di una fabbrica di caffé. I ricordi e le immagini di solo qualche mese prima bruciavano come non mai….Poi tornai a guidare un camion sempre di caffé. Michela attaccava fili in una fabbrica dove le urlavano dietro dalla mattina alla sera e la chiamavano solo quando avevano bisogno. Riuscivamo a malapena ad arrivare a fine mese. Poi dopo due anni di questa vita un nostro amico gelataio ci mostro’ un annuncio: «Cercasi coppie o single per stagione in costa azzurra ,Francia». Io non avevo piu’ voglia di partire, ma anche il nostro presente non aveva futuro quindi telefonai e prendemmo appuntamento. Dopo due colloqui sul posto, il mattino del 1 febbraio del ’99 con la nostra A1 post tongana stracarica partimmo con una nuova destinazione: Costa Azzurra, Francia. Lavorammo due anni vendendo gelati e crepes : all’inizio il problema fu il francese e i responsabili chiedevano da subito velocità spigliatezza, ma vista l’enormità di turismo e che con le altre lingue ce la cavevamo lo stipendio fu assicurato. Sapevamo che era un lavoro non sicuro, nel senso molto stagionale, molto duro e pagato poco, ma ci permetteva di conoscere la zona in attesa di tempi migliori.

Alla fine della seconda stagione decidemmo che non ci sarebbe stata una terza. Ci demmo tempo qualche mese per trovare un’alternativa e poi saremmo rientrati definitivamente(!?). Trovammo un negozio: un fornitore di magliette e il 15 febbraio 2001 aprimmo un negozio di t-shirts, e qui siamo attualmente.

Credo che abbiamo trovato finalmente un equilibrio,un buon compromesso tra i tropici e l’europa : la Costa Azzurra é una bellissima regione se la si vuole scoprire al di là dei soliti cliché. Sono stato molto breve nel raccontare i nostri primi due anni qui. Fu vera lotta anche qui in Francia sotto tutti i punti di vista, ma possiamo dire di aver ottenuto della belle soddisfazioni. Lavoriamo tanto d’estate e d’inverno viaggiamo, perché si :abbiamo bisogno ogni tanto di tornare in quei posti.

Sovente la mattina mi sveglio e mi rivedo nella pioggia del Costarica, al timone della barca di Gianni scrutando dov’é la «passe», tra il corallo o nell’unico natale passato in Colombia dove i vicini che non ci conoscevano c’invitarono a festeggiarlo con loro perché non volevano che rimanessimo da soli.

Questa é la nostra storia ma la storia continua….

STEFANO E MICHELA

rongiosuper@hotmail.com

costa azzurra