Da studente a imprenditore di successo in Inghilterra e Slovacchia: l’italiano Angelo Bandiziol si racconta

Di Enza Petruzziello

Da Latina a Manchester arrivando in Slovacchia. Ne ha fatta di strada Angelo Bandiziol da quando ben 12 anni fa ha deciso di trasferirsi in Inghilterra. Quella che oggi rappresenta una scelta comune a tantissimi ragazzi – abbandonare tutto per ricominciare in un altro Paese -, nei primi anni 2000 poteva risultare un azzardo. Eppure Angelo ce l’ha fatta, allargando i suoi orizzonti ed estendendo il suo raggio d’azione anche fuori dai confini inglesi. Con un po’ di tempo e molto lavoro, infatti, è riuscito a mettere su un’azienda di successo a Manchester e replicare la sua strategia a Košice in Slovacchia. E oggi, a 35 anni, può dire di aver realizzato quel sogno che aveva da bambino: lasciare un segno nella rete. Parliamo di internet, naturalmente. È il 1996 quando con il primo modem 14.4K decide che vuole essere se stesso e non assomigliare più a qualcun altro. È così che si dedica al gioco online in modo serio, iniziando dal gioco multiplayer strategico Counterstrike. Angelo, però, non vuole essere solo un giocatore bravo, vuole la sua squadra e nel tempo riesce a mettere insieme un gruppo di gente con cui andare in giro per l’Italia e partecipare ai vari tornei. Nel 2000 lavora per conto di Telecom Italia – in realtà la Netsiel che all’epoca gestisce i lavori per conto della compagni telefonica -, installando modem. A bordo della sua Alfa 33, senza aria condizionata né servosterzo, si mette in moto e capisce che il web è il suo futuro.

La svolta arriva nel 2004 quando la sua famiglia decide di andare a vivere in Inghilterra, a Birmingham. A quel punto, a 23 anni, lascia Counterstrike e l’università, convinto che sia la cosa migliore da fare. «Sedersi in aula di giurisprudenza e sfogliare ‘The Book of Gossage‘ non è sicuramente sinonimo di lucidità – spiega Angelo -. Certo, passare dal vivere a pochi chilometri dal mare a poche miglia dai navigli inglesi non è stato così emozionante. Tuttavia ha avuto i suoi lati positivi». E i lati positivi sono molti. «Il mondo inglese va ad una velocità doppia rispetto all’Italia e qui le opportunità spuntano ogni giorno. È proprio a Birmingham che ho conosciuto il primo imprenditore della mia vita. Un indiano, padrone dell’appartamento dove vivevamo. Tra noi nacque subito un’amicizia e fu proprio lui ad insegnarmi qualche trucco sulla compravendita delle case e sul business in generale». A 24 anni compra la sua prima casa, incrementa il numero di camere interne e l’affitta agli studenti. Dopo qualche anno crea dal nulla Radiophoria, uno dei primi podcast italiani quando nessuno sapeva cosa fosse nemmeno uno smartphone. E da lì è un susseguirsi di successi. Compra la Canova Medical, società di chirurgia plastica a Manchester dove decide di trasferirsi occupandosene full time. Un’avventura che continua ancora oggi e che grazie a una strategia di digital marketing vincente è in continua espansione. Nel frattempo cerca opportunità in mercati emergenti aprendo una compagnia di arrangiamenti floreali in Slovacchia: la Gabriella kvetový dizajn. Si occupa del suo blog Espresso Triplo, punto di riferimento per condividere tecniche e strategie di marketing, e ha pubblicato “AIDA” libro sul marketing per neo-imprenditori in cui spiega com’è arrivato al successo in maniera facile e divertente in modo che altri giovani imprenditori possano apprendere dai suoi errori e vittorie. Ecco cosa lui stesso ci racconta.

aida

Ti sei trasferito giovanissimo in Inghilterra. Cosa ti ha spinto, nel 2004, a lasciare l’Italia? In fondo qui avevi un lavoro, l’università. Inoltre 12 anni fa la scelta di mollare tutto per cambiare vita in un Paese estero non era così comune come oggi.

«In realtà non ho mai voluto un lavoro a tempo pieno. Ho sempre cercato di crearmi qualcosa part time per avere più tempo possibile da dedicare alle mie idee e diventare un imprenditore alla ribalta. Il più delle volte però erano idee strampalate e, più che alla ribalta, sembravo un imprenditore allo sbaraglio. L’università la facevo per avere tempo libero e riflettere sul da farsi. I dolori arrivavano a fine anno quando dovevo presentare ai miei genitori la lista degli esami, (non) fatti. Ad un certo punto però mio padre – che passava già qualche giorno in Inghilterra ogni tanto – mi disse: “Vieni tre mesi e poi vedi, tanto qua non combini nulla”. Era chiaro che credeva in me! A quel punto pensai: “Ok, lascio l’università, faccio un corso di inglese, vedo come funziona e magari mi viene qualche idea. Come vedi sono ancora qui».

Quali sono state le difficoltà maggiori che hai dovuto affrontare?

«Tutti direbbero la lingua. Io non l’ho trovata così difficile. Forse perché da nerd ho sempre preferito usare software e guide in inglese. La difficoltà maggiore è stata allontanarmi dagli amici, da quella provincia – sì soporifera – ma che in qualche modo ti protegge. Birmingham prima e poi Manchester sono due enormi città. Qualsiasi cosa fai devi prendere la macchina, spostarti, muoverti per almeno 20 minuti nel traffico. Per me che vengo da Latina, andare in piscina e fare mezz’ora di macchina è stato uno shock. Amicizie poi, poco e niente. Gli inglesi non hanno la stessa concezione di amicizia che abbiamo noi europei. Dico europei perché durante il corso di inglese uscivo spesso con spagnoli, polacchi, francesi ma di inglesi nemmeno l’ombra. Il tempo atmosferico poi non aiuta e quindi se non hai stimoli di qualche tipo, prima o poi molli. Io però mi trovavo bene, sono stato sempre pieno di stimoli; l’adrenalina di una società veloce mi ha spinto ad interessarmi di molte cose».

L’Inghilterra è un Paese che offre tantissime opportunità a giovani che come te vogliono realizzarsi. Quali sono gli aspetti positivi che hai trovato una volta qui?

«Il primo aspetto che si nota è il sistema che funziona. Vuoi aprire una società? Non c’è problema, poche decine di sterline e via. Vuoi aprire un conto in banca? Due tre fogli e via. Il tutto tramite un computer. Si faceva ogni cosa online già nel 2004. Ci sono un sacco di servizi e questa mentalità ti permette di crearti la tua attività senza troppi paletti burocratici. Sei un tuttofare che monta mobili dell’Ikea e fa lavoretti in casa? Metti il tuo bell’annuncio sul YellowPages e puoi cominciare. Io nel 2007 ho comprato casa e mi hanno dato il 100% di mutuo con l’1% di ‘cashback’. Mi avevano restituito circa 1200 euro come ‘Benvenuto’ nel business immobiliare. Ancora oggi se lo racconto in Italia non ci credono. Affittavo le camere. Questa è stata la mia prima entrata. Prima ancora davo lezioni di italiano agli inglesi. Certo, l’anno dopo è stato il fatidico 2008 – quello della crisi – quindi niente più mutui agevolati. Ma questa è un’altra storia».

Una storia che racconta di un imprenditore di successo, prima nel settore immobiliare, poi creando il primo podcast italiano con Radiophoria e adesso diventando proprietario della Canova Medical. Avresti potuto fare tutto questo in Italia?

«Qual è la prossima domanda? A parte gli scherzi, il problema dell’Italia è che non ci sono le premesse che aiutano un giovane a creare qualcosa. Tutto è troppo complicato, macchinoso. Attenzione però, anche in Inghilterra la burocrazia ha fatto un passo avanti nell’intasare alcune pratiche prima molto più semplici. Avere le licenze per aprire uno studio medico per esempio è molto più difficile ora. Il governo deve stare attento perché la gente migra altrove, penso all’Europa dell’Est o Middle East. Comunque il Regno Unito è una terra che offre ancora molte possibilità, al contrario dell’Italia. E questo mi dispiace. Chi se ne va dal nostro Paese non è un codardo, solo che ha smesso di crederci. Non vuole perdere tempo. I cosiddetti bamboccioni non esistono. Tutti gli italiani che conoscono si sono rimboccati le maniche sia online che offline, e si fanno il mazzo per crearsi un futuro».

Quali sono le principali differenze tra i due Paesi? Penso a chi come te vuole diventare un imprenditore e avviare una propria attività.

«La burocrazia è la differenza sostanziale tra i due Paesi. In Inghilterra se paghi troppe tasse ti arriva un assegno dopo 15 giorni con i soldi indietro. E senza fare richiesta. Senti che lo Stato è dalla parte dei cittadini. Tutti rispettano le regole e quindi quasi tutto funziona. Dico quasi tutto, perché l’altra faccia della medaglia è che queste regole rendono le persone poco flessibili. A parte questo, se qualcuno sta pensando di aprire una propria attività in Italia, io consiglierei di partire da qualcosa online così da limitare i danni visto il modo in cui lo Stato gestisce la questione. Dal freelancer all’imprenditore, basta poco per avviare un’attività sfruttando piattaforme terze, vedi Amazon, eBay, Etsy, Upwork, AirBnB, Uber. Quello che mi fa rabbia è che se presi singolarmente noi italiani potremmo veramente essere la luce guida dell’Europa. Abbiamo inventiva, stile, ci adattiamo facilmente. Però, la nostra forza è anche la nostra più grande debolezza: essere individualisti non ti fa andare avanti. Siamo gelosi, protettivi, egoisti e provinciali. I migliori italiani sono quelli che vanno all’estero per qualche anno e poi tornano in Italia. Sono come Rocky dopo l’allenamento in Siberia. Tutta un’altra testa».

Con la Brexit cambierà qualcosa secondo te?

«Eh, bella domanda. Gli inglesi sono pragmatici quindi anche se sono fuori faranno di tutto per creare rapporti economici con l’Europa pur non facendone più parte. È altrettanto vero che hanno quella che definisco una mentalità coloniale: sono abituati a qualcuno che faccia il lavoro per loro. In Inghilterra non tutti hanno un’opinione sulla politica. Al contrario di noi italiani che facciamo dibattito politico ovunque, gli inglesi se ne fregano. Basta che abbiano i loro servizi e i loro benefit. Levagli questi ultimi e diventano iene. La percezione della comunità anglosassone sulla Brexit è stata forzata perché i politici l’hanno messa proprio sul piano dei migranti e privilegi persi. In realtà non è così. I giovani non hanno votato perché non si sarebbero nemmeno sognati di uscire dall’Europa. Chi ha votato allora? I vecchi agricoltori e anziani che pensavano che così facendo si sarebbero ripresi ciò che gli apparteneva. Rivolgendomi all’Inghilterra dico: attenzione però. Tutta la loro economia si basa sugli stranieri che lavorano in UK. La sanità che è fatta al 90% da italiani, egiziani, polacchi e indiani crollerebbe in un attimo se chiudessero le porte. Tornerebbero ad essere un’isoletta sperduta con soltanto i prodotti locali (già ma quali?). Ve li immaginate gli inglesi a mangiare jacket potatoes e birra tutto l’anno?».

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E poi l’avventura in Slovacchia. Che Paese è: qualità della vita, opportunità di business ecc?

«Tra qualche anno mi trasferirò lì definitivamente con Anna, la mia compagna. La Slovacchia è due volte più grande della Sicilia e ha lo stesso numero di abitanti della nostra isola. Piccola. C’è caos al momento, ma un caos genuino. Senti che la gente vuole fare, creare, provare a migliorare. Io mi trasferirò vicino Košice, quindi nella Slovacchia dell’est. Niente a che vedere con Bratislava e la parte ovest già più vicina ai nostri ritmi. La Slovacchia è molto attaccata alle sue tradizioni e la gente è molto amichevole. C’è sempre tempo per un caffè con gli amici. Basta poco, con 50 centesimi di euro ti fai una birra. È tutto più rilassato e hai quella qualità di vita fatta di semplici cose che in Inghilterra non hai. Mentre il socializzare in UK si ferma molto in superficie, in Slovacchia invece mi ricorda la mia adolescenza in Italia, ecco perché mi piace. Poi hai laghi, castelli e paesaggi fantastici. Hai la neve a -15 in inverno e 30 gradi in estate. Poi ci sono gli Alti Tatra, montagne bellissime. Se poi parliamo di opportunità di business, c’è ancora molto spazio per chi ha voglia di fare. Non serve essere un genio, basta portare qualche idea che funziona come faccio io dal Regno Unito. Certo se parliamo di trovare lavoro in Slovacchia la questione si complica. Nell’Est lo stipendio medio è di circa 400 Euro. Tuttavia si sta molto bene. L’ostacolo più grande è la lingua, ma mi ci sto applicando».

Per aiutare gli imprenditori che come te vogliono muoversi nel mondo del marketing curi un blog, Espresso Triplo, e hai scritto “AIDA”, libro che tu stesso definisci come una sorta di storia d’amore e in cui spieghi in maniera divertente e semplice le migliori strategie di marketing per creare un business di successo partendo da zero. Che cosa racconta il volume?

«Il libro è stato scritto con in mente una persona ben precisa: l’imprenditore o libero professionista che non ha tempo di studiarsi un mattone di marketing, a cui serve però una strategia semplice da applicare al suo business. Qualcosa di facile da studiare tra un cliente e l’altro. Tutte le guide che ho letto sono sempre state pesanti e difficili. A me invece piace fare esempi, raccontare storie, perché è così che mi piace imparare le cose. Questo libro è un vero e proprio sistema passo passo che funziona. AIDA è l’abbreviazione di Attenzione, Interesse, Desiderio e Azione. La base del marketing. Ma è anche un nome di donna. E lo sappiamo, le donne stanno sempre avanti. Altro che sesso debole. Personalmente preferisco lavorare con le donne, soprattutto quelle migliori di me. Ti spingono a migliorarti sempre. Come diceva Margaret Thatcher: “Se vuoi che qualcosa venga detto, chiedi ad un uomo. Se vuoi che venga fatto, chiedi ad una donna”. Questa è la mia filosofia. E su questa base ho creato Aida, la storia di una donna che cerca l’uomo della sua vita. Nel libro ogni capitolo contiene un passo della storia e subito dopo la ‘traduzione’ di questa in marketing pratico. Un esempio che mi piace sempre fare: “Hai mai provato a chiedere ad una donna di fare l’amore un minuto dopo averla conosciuta?”. Ecco, con il marketing è la stessa cosa. Non puoi pretendere che il cliente apra subito il suo portafoglio. Bisogna dare prima di chiedere».

Introduci per la prima volta il concetto di psicomarketing. In cosa consiste?

«La gente pensa che il marketer sia o un venditore di fumo o qualcuno che abbia l’arma vincente attraverso software e modi di fare che rasentano l’esoterismo. In realtà non è così. Ognuno di noi per portare avanti la propria attività deve diventare un 70-30. Niente di kamasutrico. 70% marketer e 30% medico, avvocato, pasticcere, programmatore ecc. Bisogna capire che i social network, Google e chi più ne ha più ne metta sono solo strumenti, megafoni che servono ad amplificare un messaggio. Ma se quello che urli nel megafono non è chiaro a chi hai davanti, cosa sentirà il tuo cliente? Solo rumore. Sembra che in Italia siano tutti Social Media Guru, ma c’è un problema con SEO e social media: una volta che arrivi primo su Google o ricevi ‘like’ sulla pagina, poi la domanda che mi fanno è: “Ok e ora? Come guadagno? Perché nessuno mi chiama?”. Ecco quindi che il mio psicomarketing ha un approccio più psicologico e umano al marketing. Sul mio sito EspressoTriplo.com tutti i contenuti presenti hanno un taglio differente da altri blog. Io insegno come far leva sulla psicologia del cliente. Bisogna solo capire come funziona la mente umana. Sembra difficile, ma in realtà essa funziona in maniera semplice, seguendo una serie di passi ben definiti. Il trucco sta nel presentare le informazioni nel modo in cui la nostra mente le vuole ricevere. Niente forzature, riti voodoo o roba complicata».

Quali sono a tuo avviso gli ingredienti per la ricetta vincente di un business di successo?

«Sono tre. Il primo: decidi chi vuoi essere nel business. Non intendo dire, medico, dj o ballerino, ma che tipo di soluzione vuoi essere. Questo spinge il tuo cervello a pensare differentemente. A sforzarti di capire chi abbiamo davanti e i suoi problemi. Secondo: chi vuoi attrarre? Donne annoiate piene di soldi, non conta come risposta. Devi poter avere davanti i tuoi occhi una persona fisica intorno alla quale modellare il tuo prodotto o servizio. La paura di tutti a questo punto è: “Sì certo, così mi perdo tutti gli altri clienti.” In realtà non è vero. Pensiamo agli orologi da aviatore della Breitling: abbiamo mai visto entrare – con tanto di casco – un pilota di caccia nel negozio? Eppure in tanti hanno quel tipo di orologi. Infine, terzo ingrediente: ascoltare i clienti. In molti si scordano che il bene più importante nel business è costituito dalle persone. Sono loro che pagano quindi perché liquidarli dopo che hanno passato la carta di credito? Chi ha già comprato da noi è probabile che torni se si è trovato bene. E’ necessario prendersi cura di queste persone. Su EspressoTriplo, ad esempio, ho una live chat per essere in contatto con i lettori. Non importa che abbiano comprato qualcosa o meno. In quanti fanno lo stesso?».

Che consigli daresti a chi come te vuole aprire un’attività all’estero? E quali sono i campi su cui puntare?

«Non fare come me agli inizi quando saltavo su ‘treni’ che non mi piacevano, perché alla lunga ci si stanca. Meglio puntare su cosa veramente amiamo, qualcosa da fare tutto il giorno senza annoiarci. Consiglierei di trovare un lavoro part-time così da avere abbastanza tempo da dedicare alla propria ‘leggenda personale’, ciò che si ama veramente fare come insegna L’alchimista di Paulo Coelho, libro che mi ha cambiato la vita. Se si incomincia subito con un full-time poi ci si fa prendere dagli orari, dal salario e si abbandonano sogni e progetti. Oggi grazie a internet abbiamo più opportunità che mai, quindi sta a noi sfruttarle. L’importante è capire una cosa: qualsiasi sia il lavoro, uno deve poterlo scalare. Bisogna poter passare dal ‘fare in prima persona’ ad ‘insegnare in prima persona’ fino ad ‘impacchettare il sapere’ per le masse. Perché questo? Perché solo scalando la propria attività si può avere più tempo a disposizione. La vita è un conto alla rovescia e ogni attimo che passa, se non apprezzato, è un attimo perso».

Ti muovi tra Inghilterra, Slovacchia e Italia. Come riesci a conciliare tutto?

«In Italia vado meno di quanto vorrei. Mia nonna mi ha detto che se non mi faccio vedere più spesso mi leva dal testamento. Mi muovo spesso tra Manchester e Kosice e non è facile soprattutto per uno che odia i decolli. Quando cominciai a lavorare per conto mio, soffrivo di attacchi di panico, ero sempre nervoso. Specialmente quando guardavo il conto in banca calare ogni mese a causa delle spese per il business mentre le mie attività erano vuote. Google Analytics piatto, nessun cliente. Eccolo lì, attacco di panico. Poi ho capito che non bisogna fare le cose solo per il gusto dei soldi. Non funzionerà mai. Bisogna concentrarsi a fare le cose nel miglior modo possibile per il gusto di farle bene. I soldi verranno come risultato di un lavoro ben fatto. Come una pacca sulla spalla di chi ti dice ‘Bravo!’. Non puoi però andare in giro a chiedere: “Scusi, mi può dire bravo?”. Capito questo, tutto è cambiato. Mi sono rilassato e le cose hanno cominciato a funzionare».

Gli imprenditori di successo hanno l’immagine di essere tutti ricchi. Tu lo sei?

«Sì, lo sono. Dipende però da cosa si intende per ricco. Dal punto di vista dei soldi, direi di no. Certo, non ho un mutuo, ho un paio di case affittate ma giro con una Ford da 150mila KM, cambio il mio Macbook Pro ogni 7 anni e non ho voglia di sviluppare troppo i miei business perché altrimenti mi toglierebbero la felicità data dal tempo libero che ho adesso. In Inghilterra molti dei miei clienti sono mogli di calciatori, imprenditori mega galattici o star dello spettacolo. Hanno tutti qualcosa in comune: non i soldi, ma la tristezza nei volti. Si percepisce chiaramente che non apprezzano più ciò che hanno, non vanno mai in vacanza perché non ce la fanno a lasciare il lavoro per troppo tempo e le mogli sono il più delle volte alcolizzate a causa della noia. Quando incontro persone nuove, non chiedo mai cosa fanno nella vita, non mi interessa. Chiedo loro se sono felici. Questa domanda li spiazza sempre un po’. Quando però mi rispondono ‘Sì’ allora mi fermo ad ascoltare la loro storia. La mia ricchezza è il tempo, e cerco di godermelo a pieno viaggiando, stando con le persone a cui voglio bene e provando cucine che non conosco. Tutto il resto per me è fuffa».

Raccontaci una tua giornata tipo.

«Sveglia alle 6, colazione con acqua calda e tazza di caffè alla cicoria. Sguardo alle telecamere che puntano sulle montagne slovacche per vedere i bellissimi paesaggi, poi 45 minuti di macchina per arrivare in clinica accompagnati da qualche nervosismo per colpa del traffico. Inizio a lavorare alle 7:45. Rispondo alle circa 20 email giornaliere, controllo statistiche dei vari siti, costi campagne pubblicitarie, e se i siti di affiliazione hanno fatto qualche soldino. Controllo le telecamere nel negozio di fiori in Slovacchia per vedere come va e se le persone lavorano. E poi i pazienti della clinica con cui chiacchiero per vedere come stanno e capire le loro necessità. Scrivo liste per nuovi articoli sul blog di EspressoTriplo e tanto altro. Si sono fatte le 18:30, a volte anche le 20 se in clinica c’è tanta gente. Poi, macchina, casa. Cena italo-slovacca e parabola puntata sul Bel Paese, da classico italiano all’estero per vedermi le arene politiche con lamentele da parte della mia compagna. Questo dal lunedì al sabato, isole comprese. Ogni 2 mesi però chiudo tutto e mi faccio 15 giorni di vacanza da qualche parte».

Ti manca l’Italia e ci torneresti?

«Mi manca, certo, ma al momento non ci tornerei in pianta stabile. Troppi problemi burocratici, troppi furbetti del quartierino. Non ce la faccio. Se torno vado ad abitare in qualche paesino ma deve essere vicino al mare. Quando torno però mi godo cose che prima non apprezzavo. C’è solo un problema: le volte che vado a Roma a farmi un gelato aspetto circa 20 minuti prima di essere servito. Ormai sono abituato a fare le code in maniera civile, non riesco a sgomitare come una volta. Tutto qua».

Per contattare Angelo Bandiziol, per leggere il suo blog e scoprire di più sulla sua storia questo è il suo blog: http://espressotriplo.com